«Sono degli animali e devono pagare sino in fondo. Sia fatta giustizia e non fingano di essere pazzi. Non sono pazzi: sono due assassini lucidi. Se non li avessero fermati avrebbero ucciso ancora e ancora». e , sono i figli di Isgrò, 93 anni, una delle cinque presunte vittime della coppia killer di Saronno formata da , infermiera, e , medico anestesista vice primario del pronto soccorso dell’ospedale di Saronno, gli “angeli della morte” arrestati quattro giorni fa. È la moglie di Rinaldo ad aggiungere: «Se davvero qualcuno sapeva e li ha coperti, oppure soltanto c’era un sospetto che non è stato verificato sino in fondo ecco queste persone devono pagare quanto loro. Avrebbero salvato delle vite semplicemente dimostrandosi onesti».
Antonino Isgrò è morto il 30 aprile 2012. «Era il ponte del Primo maggio – raccontano i familiari – noi eravamo via. È caduto in casa. La badante, con i nipoti, è intervenuta. L’hanno portato in ospedale come avrebbe fatto chiunque». Frattura al femore, non certo un malato terminale. «Mio suocero – dice la nuora di Antonino – aveva un cuore fortissimo. Non era un malato terminale, ce l’avrebbe fatta». E invece alle 11.02 Isgrò veniva portato in radiologia. «E mezz’ora dopo alle 11.32 ci hanno detto che era morto».
È Cazzaniga che, freddo e distaccato, comunica ai familiari che «in seguito a una grave frattura femorale era partito un embolo e papà era morto», dice Rinaldo. Di Cazzaniga i familiari di Isgrò non ricordano nulla: «È stato un momento estremamente doloroso. Nella confusione nessuno ha badato a lui. Mio padre aveva 93 anni». E qui Rinaldo Isgrò dice una cosa che racchiude tutta la paura che questa storia scatena: «Lui era un medico, noi siamo persone semplici. Noi come tutti coloro che si rivolgono a un ospedale per essere curati. Del medico ti fidi, gli affidi la tua vita. Come puoi immaginare una cosa del genere?».
Il baratro si è aperto quattro giorni fa quando i carabinieri di Saronno hanno chiamato la famiglia Isgrò in caserma, con i parenti delle altre vittime. «È stato un dolore indescrivibile – dicono Rinaldo e la moglie – una cosa che non si può immaginare: è come se fosse morto una seconda volta. Per quattro anni siamo andati al cimitero con la sola consolazione che era sereno. E invece no, invece lo avevano ucciso. È un tormento, è qualcosa che non dà pace, è un dolore allucinante è qualcosa di inimmaginabile: una mete umana, anche soltanto minimamente umana, non può concepire una cosa del genere. Pensi al medico come a un missionario, a qualcuno che lotta contro la morte e non che si diverte a darla la morte. È l’idea del giudizio universale, del fatto che abbiano condannato a morte nostro padre dopo averlo visto per pochissimi minuti che ci sta logorando. E’ allucinante».
Ora i familiari di Antonino chiedono giustizia: «Ci sarà il processo. Sono cose lunghe – dice Rinaldo – e noi saremo costretti a vederli. È qualcosa che ti annienta ma insieme ti spinge perché nostro padre deve avere giustizia». La moglie di Rinaldo aggiunge: «E quei bambini? Io non riesco a credere a quello che leggo. Eppure è tutto vero. Cercava di crescere un assassino. E come si fa a non avere paura dopo questo? Come si fa a non essere frastornati a non sentirsi violentati?».
Giustizia è quello che chiedono i familiari. E c’è una nuova paura: che le difese si giochino l’infermità mentale. Che «passino per malati e non per gli assassini che sono».