Com’è strano questo derby, sospeso tra la preoccupazione e il sospiro di sollievo, tra il detto e non detto, tra il sereno e il brutto tempo. Com’è strano questo derby, di rosso vestito grazie alla passione dei tifosi veri (Il Basket siamo Noi e la sua coreografica iniziativa), ma senza (altri) tifosi veri a cui opporla, nella solita battaglia dei campanili e della storia che tanto si critica ma, quando non c’è, manca. Com’è strano questo derby, con una squadra che lotta per crescere ma che non crescerà così com’è, almeno nelle intenzioni di sta cercando di decifrarne il futuro. Com’è strano questo derby, contro un avversario conciato e arrabbiato. Com’è strano questo derby in fondo alla classifica, com’è strano questo derby, la cui epopea non è altro che un piccolo capitolo di un libro che si fa davvero fatica a leggere con la mente sgombra.
Chiacchiere, strette di mano, incontri, inaugurazioni, sorrisi: al PalA2A non si poteva immaginare vigilia migliore di quella di ieri. Un Moretti rilassato che risponde alle domande dei giornalisti, il cda al completo o quasi (presenti Fiorini, Polinelli, Bulgheroni e Salvestrin) che assiste a una sessione intensa e piena di spunti, i giocatori (concentrati ma sereni) che uscendo si fermano a stringere la mano al “mahatma” Toto, Johnson che si allena con i compagni, Eyenga e Pelle che si fermano sul parquet a faticare anche dopo la fine della seduta, il negozio del club che finalmente vede la luce e aggiunge un altro piccolo tassello al futuro.
Eppure… Eppure c’è ancora qualcosa che forse non va: lo “usmi” tra le righe del presente e in un passato recente che non può essere cancellato da una sola, per quanto convincente, vittoria. E ti chiedi quanto sia a prova di bomba l’unità di intenti, sperando sia una domanda stupida: ripensi al kaput infilato a Oldenburg e ti rispondi che sì, tutto sommato c’è, proprio come mercoledì c’era in campo una squadra che ha deciso di non mollare e ha portato a casa la gara; ripensi al mercato, a quanto sia necessario un intervento economico che passi da lì per risollevare definitivamente le sorti della beneamata stagionale e ti rispondi che – sotto sotto – qualcosa forse non è così lapalissiano come appare agli occhi dei tifosi, che ignorano – sempre per quella maledetta passione di cui sopra – le dinamiche che portano a una decisione.
No, Varese – tutta Varese, dentro e fuori dal campo perché il dentro e il fuori dal campo sono l’immagine della continuità reciproca – non è ancora guarita. Ma stasera (ore 20.30 la palla a due) ha l’occasione di bersi un tonico di quelli potenti: ha la chance di vincere la seconda partita consecutiva, vincendo al contempo un derby e affossando – sempre nel mentre – la posizione degli odiati cugini. Chi conosce un modo più
bello di far pace con i tifosi? Di fronte ci sarà una Cantù che ha appena esonerato l’allenatore (Kurtinaitis) e si farà comandare dal suo secondo (Bolshakov): il primo paga due sole vittorie in nove partite e una proprietà lontana capace di intervenire solo per alzare la voce. Ci sarà una Cantù ridotta ai minimi termini (sei gli arruolabili “veri”) che però nasconde insidie fra i reduci: Johnson sa come fare canestro da vicino, così Pilepic (48% da 3) da lontano; Callahan è una vecchia conoscenza apprezzata per grinta e mano, Waters sa gestire e segnare, Darden è imprevedibile. Insomma, poveri, poverissimi: ma non brutti.
Cosa deve fare l’Openjobmetis? Forse semplicemente mettere il dito nella piaga di un avversario che non ha nemmeno il grammo di fiducia che lei ha riacquistato, stando però attenta a non svegliare un canto del cigno che potrebbe essere ferale e indigesto. Si riparta dalla difesa, vero marchio di fabbrica di ogni compagine che rinasce dalle sue ceneri e attuale simbolo di una Varese che non sarà guarita, ma almeno lotta con chi la guida. E poi c’è Eric Maynor, la ragione per cui tutto inizia e forse finisce in un certo modo. Sì, anche un derby.
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