«Chiude il Punto nascite: e che sarà mai?! Ad Angera non fate figli!» La dite facile, voi, in città. Così vicini, così lontani. A Varese o a Busto si fatica a comprendere quel che sta accadendo in un angolo di provincia. Non è semplice far capire a tutti il legame particolare, quasi unico, che unisce un ospedale, il Carlo Ondoli di Angera, con il suo territorio e la sua gente. Ad Angera, l’ospedale esiste dal Quattrocento: da sempre,
si può dire che è un organo vitale della comunità e, fino a qualche tempo fa, era addirittura all’avanguardia in alcuni settori. Piccolo, ma efficiente. Dal professor Gibelli al dottor Interdonato, sono tanti i professionisti che hanno contribuito a farne un vanto, addirittura un orgoglio per la gente del lago, sempre pronta a difendere e a sostenere il proprio ospedale che, già in passato, aveva rischiato di non sopravvivere. Era un punto di riferimento per un’area anche piuttosto vasta. Ora ci risiamo, mettiamoci quest’Italia sgangherata e una riforma sanitaria discutibile, a cui bisogna sommare piccoli e grandi giochi di potere, non soltanto della politica: il Carlo Ondoli fatica a reggere l’urto, soffre sempre più per tirare avanti, svilito dalle scelte dei manager e dalle responsabilità della politica, nonostante la dedizione di chi ci lavora.
L’ultimo capitolo è iniziato con la riforma voluta dalla ministra Lorenzin: la persona al centro, cronicità e prevenzione. In sintesi, i piccoli ospedali vengono bollati come sprechi. In pratica, le peculiarità di ogni territorio non contano, la gente non viene più ascoltata: la risposta è nelle teorie, nelle statistiche, nei soldi che non ci sono. L’ospedale di Angera e la sua gente si ritrovano da anni in balìa di tensioni, promesse politiche, rassicurazioni vaghe o verosimili. Beghe di provincia, lontane da voi, gente di città, nemmeno prese troppo sul serio dai media.
Dalle tensioni, ora si è passati alle ferite, anche dolorose: la Maternità, il Punto nascite di Angera, chiude. La Pediatria, quasi. Colpa della ministra Lorenzin, mugugni, applausi, stop, fine.
Detto, fatto. Ci ha messo tre giorni, l’ultimo manager, a tirar giù la serranda: ha fatto più veloce della birreria che ha chiuso in centro, ad Angera.
Lasciando i dipendenti attoniti, le future mamme disorientate e, soprattutto, i cittadini disarmati, senza fiato, senza nemmeno il tempo di replicare, di confrontarsi.
Chiude la Maternità, perché Angera non è un paese per giovani, i manager l’hanno dedotto anche dalle statistiche. Chiude un piccolo reparto, tenuto in vita con amore, perché considerato uno spreco a priori. Per una mera questione di numeri: “la persona al centro”, dunque, è soltanto un numero in mezzo ai numeri.
Il Punto nascite di Angera era più di un semplice reparto. Questo, i manager non l’hanno capito: era un presidio di speranza per un territorio che cerca di rinascere, che ha bisogno di sopravvivere a una crisi non solo economica, ma anche esistenziale.
Le realtà di provincia stanno perdendo la propria identità e per questa ragione, cancellare un piccolo reparto ospedaliero può essere una ferita profonda per il territorio.
Era il reparto a cui la gente del lago era più legata. Chiudere la Maternità di Angera, in questo modo, come fosse una birreria, è addirittura una sfregio per la comunità: le ferite si rimarginano col tempo, lo sfregio resta, lascia il segno, crea rassegnazione.
La rassegnazione è mortale per i nostri piccoli paesi, nauseati dalla politica, frustrati dai manager.
La gente di Angera e dei tredici comuni del Basso Verbano non si merita tutto questo. “Le persone al centro”, sì gran bello slogan, ma andrebbero ascoltate poiché, per conoscere i problemi di un territorio, non basta dare un’occhiata alle statistiche.