Partecipò alla guerra d’Etiopia nel 1936, si trasferì in Ungheria per lavoro nel 1942 e vi restò per tre anni, fino al ’45, quando tornò in Italia, nel silenzio, alla vita di tutti giorni.
La vita di Giorgio Perlasca non si può racchiudere in questi limiti, perché in mezzo c’è la Storia, ci sono le leggi razziali, c’è la Germania nazista, c’è l’Ungheria occupata dai tedeschi. E soprattutto ci sono quasi sei mila vite ebraiche salvate. Tra il finto console spagnolo Jorge e il commerciante Giorgio ci sono vite umane salvate con finzioni, inganni e stratagemmi. Giorgio Perlasca fu il funzionario che grazie ad un lasciapassare firmato dal generale Franco si finse un console spagnolo e rilasciò falsi documenti di cittadinanza ad ebrei ungheresi: li salvò dalla deportazione nazista e dalla Shoah. Eppure, quando la guerra finì, Giorgio Perlasca tacque. Non una parola su quanto successo in Ungheria, nemmeno al figlio Franco.
Giorgio Perlasca è un eroe. Anzi, è un Giusto. Un Giusto tra le Nazioni, un’onorificienza che Israele riconosce ai non-ebrei che hanno agito eroicamente per salvare degli ebrei. E la sua storia dimostra che «chiunque può fare del bene». Non serve un esercito, basta volerlo. Questo è l’insegnamento di Giorgio Perlasca e suo figlio Franco ha voluto condividerlo con noi. E con voi
Non ne parlò mai né con me che ero suo figlio e nemmeno con mia mamma. Quando lo scoprimmo, un gesto così nobile per me, per anni, fu anche un grande peso. Poi però sono arrivato ad una conclusione. Il fatto di non raccontare niente di ciò che è stato, di ciò che Giorgio Perlasca aveva fatto, risponde ad un filo logico che unisce tutti i Giusti. Perché questi sono giusti e non eroi.
L’eroe è chi nel corso della sua vita fa qualcosa di importante ma poi ci vive sopra, la racconta. Il giusto, invece, è stato un eroe per una parte della sua vita e poi ha avuto l’umiltà di tornare alla vita di tutti i giorni. In effetti, per assegnare il titolo di “Giusto tra le Nazioni” servono due cose: aver salvato la vita ad almeno un ebreo e non aver raccontato, di persona, la propria storia. Il cerchio quindi si è chiuso così.
L’ho scoperto nel 1988 quando delle donne ebree ungheresi arrivarono a casa nostra per riprendere i contatti con Giorgio Perlasca. Il modo in cui venni a conoscenza di tutto fu un trauma psicologico perché non sapevo assolutamente nulla e venire a sapere da altri che cosa aveva fatto mio padre 40 anni prima mi ha lasciato pietrificato. Per anni non mi sono interessato alla storia: sono stato distante come se non mi riguardasse. Questo distacco è durato quasi 9 anni, poi ho metabolizzato.
Direi di sì. Ci ho messo tanto per metabolizzare tutto. So che se oggi fossi a Varese per una conferenza non lo sarei perché mi chiamo Franco, io non ho fatto nulla. Sarei lì per mio padre, perché posso rappresentare e portare la voce e la testimonianza di altri. Ci ho messo molto ma oggi questo non mi pesa: dare voce a qualcuno che non c’è più mi stanca ma mi rende felice.
Già parlarne non è semplice e approfondirlo spesso è umanamente devastante. Lo cito per nome e cognome non per estraniarmi ma per farmi coinvolgere meno: la terminologia serve per me. Perché sennò dopo un incontro dove dico tante cose e mi metti a nudo c’è una fatica intellettuale e interna che mi sfianca.
Riccardo e Francesco quando vorranno interessarsi della storia non hanno che da farlo. Ma non li voglio forzare. Conoscono bene la storia anche perché la respirano ma saranno coinvolti solo quando saranno pronti. Ricordo che alle elementari, visto che erano i nipoti di Giorgio Perlasca, le maestre chiedevano di “intervenire” in occasione della Giornata della Memoria: questo è stato quasi un piccolo grande problema perché avevamo paura che non si sentissero Riccardo e Francesco ma solo i nipoti di qualcuno.
Assolutamente, sia come figlio sia come italiano. Frequentiamo molte comunità italiane all’estero e tutti ci hanno detto che la figura di Giorgio Perlasca ha messo in pace le loro coscienze: grazie alla sua storia hanno potuto dire che forse in Italia non ci sono solo pizza e Mafia: in Italia ci sono anche persone come lui. Sono felice perché ha fatto riscoprire a tanti l’orgoglio di essere italiano. Anche Carlo Azeglio Ciampi, un giorno, ci confermò questo: come il nome Perlasca avesse suscitato anche in lui un forte sentimento d’orgoglio.