Le pediatre, due donne, hanno trovato fiori e altre donne, all’ospedale di Angera, a ringraziarle e a incoraggiarle: il reparto è stato riaperto, dopo la chiusura di due mesi fa. I bambini di una vasta area, di una quindicina di Comuni, potranno di nuovo essere curati all’ospedale di Angera e il Punto nascite (chiuso dalla sera alla mattina) riaprirà presto. Le mamme della protesta e quattro dottoresse: le prime emozionate per la vittoria ottenuta, le seconde preoccupate per i turni estenuanti che dovranno affrontare,
in attesa dell’arrivo di nuovo personale che ancora non c’è. Due punti di vista della stessa storia, che non risolve i problemi della sanità varesina, ma che dovrebbe insegnare molto.
La lezione delle mamme di Angera qualcuno l’avrà capita? Se, dal nulla, centinaia di persone si sono riunite senza conoscersi, per difendere, a ogni costo, la vita di un piccolo ospedale, vuol dire che c’è un territorio, ci sono comunità che chiedono di essere ascoltate di più. Ci sono questioni sociali, oltre che servizi sanitari, che sono importanti e che la politica deve saper affrontare. Perché al di fuori dei grandi centri urbani della provincia, ci sono aree che, troppo spesso, vengono considerate ai margini.
Ora, però, questi territori stanno perdendo la propria identità, ci sono servizi che vengono meno, ci sono cambiamenti che inducono le famiglie a fare scelte diverse, oppure a rassegnarsi.
La riforma sanitaria lombarda non è nata ieri, ma sul territorio ci si accorge ora che qualcosa non funziona: è evidente che mancano un dialogo e una condivisione tra la politica e i cittadini, con colpe probabilmente da suddividere in parti uguali.
Ci sono questioni che non risolvi calando dall’alto scelte che non danno importanza ai territori: e la storia della protesta di Angera mostra ancora una volta la distanza tra la grande politica e la gente. Nella teoria (della riforma) i piccoli ospedali andrebbero chiusi o ridimensionati, nella realtà quotidiana ci si accorge, invece, che servono e non possono essere cancellati. Ad Angera per 55 giorni abbiamo visto mamme col pancione, mamme con i bimbi appresso, nonne, operai, nonni, famiglie intere dare vita alla più profonda esperienza che questo territorio potesse immaginare: una protesta civile, spontanea, sacrosanta, vera. Quest’esperienza deve fare riflettere sulla vitalità, creduta scomparsa, di una vasta area “periferica” e, soprattutto, deve fare essere di lezione a chi considera gli ospedali aziende e non servizi per il territorio, pagati dal territorio.
Questa storia ha costretto la politica a chinare il capo e ad ammettere l’errore: perché, al di là dei riti, è così che è andata. Tuttavia, è profondamente sbagliato bollare tutto ciò come populismo o demagogia. La gente e il territorio li devi ascoltare, devi tenerne conto: perché una riforma calata dall’alto che comincia col togliere i servizi senza dare nulla in cambio e chiude i presidi che servono alla gente, porta a errori madornali, come quello che è stato fatto ad Angera. Giusto che la politica abbia ammesso l’errore, non è un disonore.
Tuttavia, i problemi restano, perché la vittoria delle mamme non può andare a spese di altre persone, ovvero di medici, infermieri, ostetriche costretti a lavorare in condizioni quasi disumane. La carenza di personale è ora il problema prioritario: gli errori gravi, le mancanze vergognose hanno origine da lì. Ed è la politica che deve risolvere il problema, non è compito dei manager, né tanto meno dei burocrati: la sanità pubblica, le scelte per il territorio, spettano, per fortuna, ancora alla politica. Quella nobile, se esiste ancora. E se la politica non parla più con le mamme, con i nonni, con le famiglie sul territorio non sa più che scegliere e fa disastri.
*giornalista angerese