Se il Chiostro di Voltorre potesse parlare, racconterebbe una grande storia d’amore. Da antico monastero benedettino all’inizio del Novecento è stato il buen retiro di Luigi Conconi, il pittore della scapigliatura milanese di cui quest’anno ricorre il centenario dalla morte, che vi soggiornò per molti anni nei periodi estivi affascinato dal paesaggio e dall’architettura. Per primo seppe riconoscere il valore testimoniale del luogo.
Oggi, che è in discussione il futuro del cospicuo patrimonio storico-architettonico di proprietà della provincia di Varese, con destinazioni d’uso spesso complesse e problematiche che poco hanno a che fare con la categoria specifica alla quale appartiene ovvero quella dei Beni Culturali, meritevole perciò di un quadro organico di iniziative che ne rafforzino la significativa peculiarità, confesso che il primo sentimento che mi ispira la vicenda che lega Conconi a Voltorre è di gratitudine: per aver puntato l’attenzione sull’antico complesso dell’abbazia di San Michele, caduto nell’oblio all’inizio del Novecento dopo la perdita della funzione originaria e ridotto a poco più di un fabbricato rurale.
Luigi Conconi, milanese di nascita ma originario di Malnate, si forma all’accademia di Brera e poi al Reale Istituto Tecnico Superiore (politecnico) conseguendo il titolo di architetto. Fra i suoi compagni di corso Luca Beltrami che gli restò amico per tutta la vita. Fu amico anche di Tranquillo Cremona e Gaetano Previati, con il quale condivise lo studio milanese. Artista eclettico e sperimentatore, fu esponente interessante della scapigliatura con una produzione caratterizzata da una visione interiorizzata, lirica della realtà espressa con una tecnica pittorica di grande qualità.
Animato da una singolare inquietudine, raggiunge il vertice con la produzione di acqueforti e incisioni sublimi ed eseguite con una tecnica precisa e impeccabile. L’ultima mostra di un certo rilievo fu allestita al Castello Sforzesco negli anni Novanta.
E la sua inquietudine lo porterà nel 1896 ad affittare una porzione del chiostro di Voltorre per passare i mesi estivi con la moglie e i figli e soprattutto allontanarsi dall’ambiente milanese per le troppe delusioni professionali e umane. Desiderava vivere in pace nell’abbazia medievale gli ultimi anni della sua vita. Una “moda” che negli stessi anni si era diffusa fra gli artisti milanesi: Ludovico Pogliaghi acquista e ristruttura antiche abitazioni a Santa Maria del Monte; Angelo Comolli acquista l’intera abbazia di Morimondo; e altri ancora.
Nella serenità del chiostro, studiando la luce che ancora oggi colpisce il visitatore, Conconi ambienta alcune delle sue opere più interessanti: Il Dialogo, La leggenda del chiostro, l’incantesimo, una serie di pastelli con figure femminili ritratte nei prati circostanti. Avrebbe desiderato portare lì il suo studio, trasferendo opere e oggetti ancora a Milano. Compresi alcuni stacchi di affresco alla maniera di Bernardino Luini che bene avrebbe collocato negli ambienti medievali, trasformando l’antico monumento in una casa d’artista.
Tentò invano di acquistare tutta la proprietà, mise in campo non solo il denaro necessario per l’operazione e il restauro ma anche l’autorevolezza dei suoi illustri amici: Luca Beltrami e Ludovico Pogliaghi per sostenere il suo ambizioso progetto. Iniziarono anni di trattative con gli organi preposti alla tutela e lo Stato che esercitava il diritto di prelazione sul monumento, fino a quel momento ignorato, ostacolando il progetto del pittore. La questione approdò perfino al Parlamento.
Dopo l’incendio del 1913, che distrusse parte dell’edificio, Conconi rinuncia definitivamente all’idea. Ciò che accade dopo l’acquisto dello Stato di parte del Chiostro nel 1929, fino al restauro degli anni Settanta, è cosa nota. Chissà, una esposizione dei lavori incisori di Luigi Conconi conservati alla Civica Raccolta Bertarelli sarebbe una buona idea.