Che cosa succede quando alle graffiate di una chitarra elettrica rispondono le cornamuse? E quando la tradizione popolare dell’irish folk si fonde con quella rock? La risposta la danno gli Uncle Bard and the Dirty Bastards, la band che da più di dieci anni fa detonare questa miscela esplosiva: «Succede che si balla e si fa casino!».
Tra banjo, tin whistle, flauti irlandesi e barbe in perfetto stile irlandese, la band bustocca (composta da Silvano Ancellotti, Roberto Orlando, Guido Domingo, Lorenzo testa, Luca Crespi e Luca Terlizzi), questa sera (ore 23, con a seguire il dj set di Teo Candiani) è pronta a divertire e a far saltare tutto il Land Of Freedom di Legnano (in Via Maestri del Lavoro): oltre che per conoscere una delle band più “pazze” e più coinvolgenti della provincia, quella di questa sera è l’occasione anche per ascoltare il loro ultimo, bellissimo, album dal titolo “Handmade”.
In dieci anni ci siamo affidati ad altre persone per la realizzazione dei nostri album e a volte non siamo rimasti soddisfatti. Nel frattempo abbiamo sviluppato le capacità per fare tutto in casa e questo, musicalmente, è un periodo in cui si può fare molto artigianato musicale, non è necessario stare troppo dietro a delle logiche di mercato e quindi abbiamo deciso di fare tutto noi. È sicuramente più impegnativo ma dà delle soddisfazioni in più.
Sì, non lo sono solo i testi ma anche tutto il corredo, dalle musiche ai video. In questo modo la nostra presenza è fortissima nell’albume e la musica è sempre più nostra.
In effetti sono solo due le canzoni reinterpretate, tutte le altre sono fatte da noi. Tutte derivano sempre dalle nostre esperienze personali e da quello che viviamo quotidianamente. Abbiamo voluto mettere ancora di più noi stessi. La terza canzone dell’album, in questo senso, è indicativa. Si intitola “Too Old To Stop Now” e con lei abbiamo voluto parlare di noi. Abbiamo riflettuto, ormai abbiamo tra i 35 e i 40 anni ed è troppo tardi per smettere di suonare e di fare casino. Così abbiamo voluto dirlo in una canzone.
Sicuramente i Dubliners e i Pogues, una band degli anni 70. Anche se non è sbagliato citare, per esempio, i Mumford & Sons: loro sono inglesi ma di stampo più americano: in effetti però, anche se ci ispiriamo all’irish folk, ci piacciono. Ovviamente, poi, ci ha ispirato tutta la tradizione popolare irlandese.
In un modo un po’ anomalo. Eravamo tutti parte di altre band rock della zona. E poi, per fare un concerto per un nostro amico scomparso ormai dodici anni fa che amava un po’ il contesto irish, abbiamo provato a mettere insieme un band, siamo piaciuti e abbiamo continuato.
Bello e divertente. Non ci siamo messi a leggere i testi di teoria, abbiamo viaggiato e soprattutto abbiamo vissuto questa musica nei suoi luoghi, le strade e i pub. Senza ovviamente smettere di ascoltare il resto: infatti il nostro sound è un mix di cose diverse. Quella irish è una musica seria, che tratta argomenti forti, come le rebel song contro la dominazione inglese, ma ha anche molti risvolti divertenti e scanzonati. Per questo era necessario viverla in prima persona per capirla fino in fondo. È una musica per divertire e divertirsi. E anche stasera siamo pronti a far casino.