Il Varese in casa non riesce a fare quello che fa in trasferta. Un dato di fatto certificato dai risultati. A Masnago è arrivato un punto in tre partite (contro il Bra, 2-2; prima due sconfitte, 1-2 con il Cuneo e 4-5 con l’Inveruno), fuori casa ne sono stati raccolti 10 (vittorie a Carate Brianza, Voghera e Pinerolo, pari a Borgosesia). Nell’arco dell’intero campionato, in casa sono arrivati 20 punti in 12 partite (6 vittorie, 2 pareggi,
4 sconfitte; 19 gol fatti, 17 subìti), in trasferta, sempre in 12 partite, ne sono stati raccolti 27 (8 vittorie, 3 pareggi, 1 sconfitta; 18 gol fatti, 4 subìti). Dati crudi, domanda scontata: perché?
Non è questione di atteggiamento. La squadra, da quando è allenata da Baiano, non manca dal punto di vista del carattere: quando soffre si abbassa, ma non si siede; se è in difficoltà ha la forza di rialzarsi, o quantomeno di provare a farlo; se perde si arrabbia, non cerca scuse.
Non è questione di possibilità. La squadra ha tante scelte, soprattutto in termini di interpreti, e resta una rosa di grande qualità, pur “povera” in cabina di regia.
Non è questione di gioco. In una categoria così rognosa, giocare bene è difficile e lo è ancora di più fuori casa, dove ci sono campi piccoli, stretti, alcuni malridotti. Il Franco Ossola d’inverno non può essere un tappeto, ma non è certo il peggior fondo su cui giocare.
Dunque? La risposta sembra essere solo psicologica. Divisa tra l’incertezza societaria, qualche pretesa di troppo di una parte del pubblico e, soprattutto, in un ragionamento sbagliato che si è inculcato nella testa dei giocatori (e non solo): «In casa si deve vincere per forza».
Una volontà che non diventa realtà, un desiderio che resta inespresso, un obbligo che pesa. Per non trasformarlo in ossessione bisogna tornare a sognare, riportando equilibrio in società (anzitutto pensando al bene di tutti e non al proprio), ritrovando fiducia sugli spalti, mettendo orgoglio in campo. Varese, sai come si fa: fallo.