I “cappellai matti” del jazz: la loro storia raccontata da Davide Ielmini, al Papyrus Jazz Festival di Ivrea.
Ci sarà il nostro giornalista e critico musicale, il prossimo 25 marzo, alle 18, nella sala Santa Marta, alla 37° edizione del festival – in corso dal 23 al 25 marzo e il primo aprile a Ivrea e a Chiaverano.
Davide Ielmini presenterà il suo saggio “Odwalla Tempus fugit”, pubblicato appositamente e dedicato al gruppo di percussioni con un forte legame con il territorio varesino: gli Odwalla che hanno sempre inciso con la Splasc(h) Records, etichetta che proprio quest’anno compie 35 anni. Gli Odwalla di Massimo Barbiero, “tribù di percussioni”, nascono a Ivrea ma le loro radici affondano infatti nel territorio varesino. Il legame tra Ivrea e Varese nasce, grazie a Barbiero, quasi trent’anni fa con gli Odwalla e poi con il quintetto Enten Eller.
Entrambi punte di diamante nel catalogo della Splasc(h) Records di Arcisate, etichetta indipendente che, nata nel 1982, registra il miglior jazz italiano prima nelle mani di Peppo Spagnoli e oggi in quelle di Luigi Naro. Il nostro giornalista non è nuovo al Papyrus Jazz Festival, ma questa volta si presenta con un volume dedicato esclusivamente all’ensemble di percussioni, il primo di questo genere in Italia, arricchito dalle fotografie di Davide Bruschetta e Luca d’Agostino, la prefazione di Alberto Bazzurro e la postfazione di Franco Bergoglio. Ad aprire l’incontro, gratuito, sarà Maurizio Franco, docente di Storia ed Estetica del Jazz e Analisi delle Forme Compositive e Performative Jazz ai Civici Corsi di Jazz di Milano e ai Conservatori di Parma e Como, con alcune riflessioni su Odwalla.
A seguire, dalle 22.15, il concerto di Odwalla & Baba Sissoko, con un’esplosione di ritmi che si muovono all’interno delle grandi tradizioni europea, americana, africana e indiana. «Odwalla sono un raro esempio di longevità creativa e pensiero critico multiplo, considerarli solo jazz è riduttivo, sono un caso unico in Italia – spiega Davide Ielmini, che all’interno del volume ha dedicato un intenso capitolo alla loro danza “Una volta le nostre braccia erano ali” – In quello che fanno non c’è solo il seme antico del suono, ma anche il seme di una musica che è figlia delle diversità. Da Stravinsky a Varèse – l’ingegnere che ha portato le trame ingegneristiche nella composizione, nei primi anni del 1900 – dall’Art Ensemble of Chicago a Max Roach con il suo M’Boom, Odwalla è un continuo fiorire di tradizione e progresso. Un ensemble nel quale si ritrova buona parte della grande lezione musicale del Novecento».
Una lezione che diventa spettacolo: «Assistere ad un loro spettacolo è quasi vedere un film senza pellicola, è uno spettacolo di racconto, quello di un gruppo, open, che ospita prestigiosi strumentisti da tutto il mondo, dall’Africa, all’India, rinnovando il linguaggio della musica in un autentico flusso ritmico». Una musica che diventa uno spettacolo intenso, con coreografie che sanno emozionare, e che rappresenta un antidoto ai mali che ci circondano: «Primo Levi sosteneva che “ogni tempo ha il suo fascismo”
– dice l’anima del festival, Barbiero. A questo si arriva in molti modi: non necessariamente con il terrore dell’intimidazione poliziesca ma anche negando e distorcendo l’informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l’ordine. In un certo senso la cultura in generale, ma in particolar modo la musica e il jazz, in maniera assoluta, sono gli anticorpi a quei “sottili modi” di cui parla Levi».