Il nome di Enrico Butti ti porta subito a pensare a Viggiù, paese al confine con il Canton Ticino, che ha saputo essere al centro della storia artistica dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento.
L’arte e gli artisti nati a Viggiù rivestono tutt’oggi un’importanza fondamentale.
Settimana scorsa avevamo parlato, su queste pagine, del cimitero vecchio di Viggiù, rarissimo e ben conservato esempio di arte sepolcrale dell’Ottocento lombardo. Ma l’importanza di questa terra e il contributo che ha dato alla storia non si limita a quello.
Entrando nel mondo della scultura, troviamo innanzitutto Butti, che negli ultimi anni di vita rese possibile la creazione del museo che porta il suo nome.
L’artista nacque a Viggiù il 3 aprile 1847 e lì vi morì il 31 gennaio 1932. La sua era una famiglia di marmorini per tradizione.
«Butti si reca a Milano nel 1861 per frequentare l’Accademia di Belle Arti di Brera dove segue i corsi di Pietro Magni – si legge nella sua biografia – nello stesso tempo fa fronte alle difficoltà economiche traducendo in marmo opere di altri scultori, come Francesco Barzaghi, Ugo Zannoni, e lo stesso Magni, acquisendo un’elevata abilità nel lavorare la materia. Negli anni della Scapigliatura, espose alla Mostra Nazionale del 1872 una delle sue prime opere, il marmo del Raffaello Sanzio e a Brera,
due anni dopo, Eleonora d’Este che si reca a trovare il Tasso in carcere, oggi a San Pietroburgo. Di poco posteriori opere come Caino, Le smorfie, Stizze, San Gerolamo (1875), Il mio garzone e Santa Rosa da Lima per il Duomo di Milano (1876). Nei successivi monumenti l’esempio di Achille D’Orsi e soprattutto di Vincenzo Vela lo spinge ad uno stile più sobrio ed essenziale». Gli esempi più chiari sono “L’angelo dell’evocazione” per la tomba Cavi-Bussi al Cimitero Monumentale di Milano, “il Guerriero lombardo Alberto da Giussano” per il monumento di Legnano e “Il minatore” (opera intessuta del realismo populista che andava diffondendosi in quegli anni) che gli fece guadagnare il Grand Prix e la medaglia d’argento all’Esposizione universale di Parigi del 1889. Dal 1893 al 1913 Butti è docente di scultura a Brera. Riceve nuove commissioni importanti come I minatori del Sempione e il gruppo de La tregua, entrambi del 1906 e il frontalino con L’Unità d’Italia per il Vittoriano (1909).
Nel 1913 torna a vivere nel paese natio, a causa, come riportano le fonti, di sempre più gravi problemi polmonari, ma non abbandona il lavoro.
Il Butti realizza ancora varie opere funerarie, il monumento a Giuseppe Verdi, in piazza Buonarroti a Milano (1913) e quelli per i caduti di Viggiù (1919), di Gallarate (1924) in Piazza Risorgimento (spostato e restaurato nel 2008) e di Varese (1925).
Dal 1928 Butti si dedica anche alla pittura.
Muore il 31 gennaio 1932 nella sua villa di Viggiù, il cui parco ospita l’attuale Museo, secondo il desiderio espresso dallo stesso scultore.
«La decisione del Butti di donare la propria gipsoteca al Comune di Viggiù risale al 1926, come ci informa una lettera autografa dell’artista datata 20 gennaio, cui segue un atto notarile di formalizzazione a data 21 gennaio. Tale scelta è molto importante, perché ha salvato un patrimonio ragguardevole di gessi che altrimenti, secondo l’uso dell’artista, sarebbero stati distrutti». Il Museo Butti è stato uno dei luoghi dove La Varese Nascosta ha organizzato un tour, realizzando un ampio reportage fotografico, che pubblichiamo in queste pagine.