Omicidio Macchi: a 24 ore dall’inizio del Processo, almeno per Varese visto che l’intero territorio aspetta da 30 anni esatti di sapere chi ha ucciso Lidia, è stata resa nota la composizione della corte d’assise. Stefano Binda, 50 anni, di Brebbia, ex compagno di liceo di Lidia Macchi, di cui lei forse era innamorata e che avrebbe cercato di salvare dalla dipendenza dalla droga, arrestato il 15 gennaio 2016 con l’accusa di aver assassinato la studentessa, comparirà davanti a una giuria composta prevalentemente da donne.
Una giuria popolare in rosa: 5 donne e 1 uomo.
Il presidente della corte è Orazio Muscato, giudice equilibrato che venerdì scorso ha condannato all’ergastolo Alessandro Argenziano per l’omicidio della moglie Stefania Amalfi e assolse i medici rinviati a giudizio per la morte di Giuseppe Uva.
A latere Cristina Marzagalli, a sua volta giudice equilibrato e finissimo estensore di sentenze. Un processo difficilissimo quello che si aprirà già con le eccezioni preliminari alle 9.30 di domani.
In tutto sono 400 i testimoni che dovrebbero sfilare in aula: il numero dovrebbe scendere a 300 testimoni circa dopo una prima scrematura.
Sono 283 le persone indicate dalla parte civile della famiglia Macchi, 99 quelle della difesa di Binda (avvocati Sergio Martelli e Patrizia Esposito) e 86 quelli del pubblico ministero Gemma Gualdi. In realtà diversi nomi nelle liste dei testi si ripetono e dunque per avere il numero complessivo non si possono sommare tutte queste cifre. Tra le persone citate vi sono poliziotti, medici, genetisti, biologi. Una parte del processo sarà dedicata alla perizia grafologica sulla prova che l’accusa considera decisiva e cioè la poesia “In morte di un’amica” che sarebbe stata scritta da Stefano Binda e che descriverebbe la scena del delitto.
Secondo l’accusa Binda violentò Lidia e poi la uccise con 29 coltellate non sopportando il peso di quel rapporto sessuale. In realtà non c’è priva della violenza carnale: Lidia Macchi, quella notte del 5 gennaio 1987, ebbe sì un rapporto sessuale ma che avrebbe potuto essere consenziente.
Il medico legale che all’epoca eseguì l’autopsia non segnalò traumi che avrebbero potuto far pensare ad uno stupro.
Quello, in ogni caso, sarebbe stato il primo rapporto sessuale della ragazza e certo potrebbe avere molto a che vedere con il suo brutale omicidio. La parte civile (avvocato Daniele Pizzi) ha citato anche gli investigatori dell’epoca.
Inoltre ha cercato di rintracciare più persone possibile tra quelle che nel gennaio del 1987 si trovavano alla gita di Comunione e liberazione, a Pragelato, dove Binda afferma di essere stato il giorno della morte della ragazza. Pizzi ha anche indicato nella lista testi il gip che nel 2000 ordinò la distruzione delle prove raccolte in archivio in relazione al caso: tra queste anche i vetrini con lo sperma raccolto 30 anni dal cadavere di Lidia che oggi, attraverso l’analisi del Dna, avrebbero potuto quanto meno dare indicazioni certe.