Stai a vedere che, per una volta, i tanto bistrattati social network a qualcosa sono serviti. La notizia dei terribili attacchi di Londra, l’altra sera, è arrivata più o meno a tutti così: un giro sulle bacheche di Facebook e Twitter per uno sfottò all’amico juventino ed eccola lì, la realtà che torna imperante: Londra è sotto attacco. E a Torino non ha vinto la delusione, ma il panico. E questo non ha fatto felice neppure uno dei gufi che stavano volteggiando fieri e tronfi sulle teste del popolo bianconero uscito cornuto e mazziato dallo stadio di Cardiff dopo la finale di Champions League persa contro il Real Madrid.
Eppure è in questi momenti che i social network, ormai così ridotti ad oppio degli autocompiacenti o poco più, sono tornati prepotentemente alla loro funzione originaria. E hanno spopolato. Innanzitutto come vero e proprio mezzo di comunicazione rapido, universale, capillare ed efficace: la stessa polizia britannica ha affidato proprio a un tweet quelle poche ma drammatiche parole “Run, hide and tell” – scappate, nascondetevi e segnalate – con le quali ha messo in guardia la popolazione londinese da quanto stava succedendo al London Bridge e al Borough Market.
E ancora, come già in passato, la funzione di Facebook “Safety check” ha messo in pace il cuore di tanti amici e parenti delle tantissime persone, soprattutto ragazzi, che vivono stabilmente o temporaneamente a Londra: il social network, infatti, tramite la geolocalizzazione dell’utente, sa riconoscere se questo si trovi in un’area sensibile (sotto attacco terroristico ma anche, per esempio, colpita da una calamità naturale) e permette di pubblicare istantaneamente sul proprio profilo un messaggio preimpostato in cui si conferma di essere sani e salvi. Ieri sulle timeline di tanti di noi questi messaggi sono comparsi. E sì, per una volta è stato bello farsi gli affari degli altri. E poter sorridere, anche dei guai.