Non esiste sensazione più bella della vittoria, nello sport. Specialmente se non l’assapori da tempo. Le braccia al cielo, il vento in faccia a cui si accompagna la consapevolezza che tutti gli altri sono alle tue spalle. Adrenalina, onnipotenza, gioia, rinascita. Chissà cosa deve essere passato nei pensieri di Luca Chirico, che ha timbrato sabato la sua prima vittoria da professionista in carriera. Non è un risultato da poco, nel ciclismo si corre in quasi duecento e vince solo uno: la ruota gira ma non è
detto che il tuo turno arrivi per forza. L’appuntamento con la prima vittoria è arrivato al Tour de Serbia, una corsa non di primissimo livello, ma poco importa. Perché il sapore più bello è quello della vittoria, e Luca lo sa bene. Ha avuto diversi problemi nell’ultimo anno: la sua esperienza di due anni con la Bardiani non si è chiusa nel migliore dei modi, ha rischiato di rimanere senza squadra ma è ripartito dalla Turchia, dalla sconosciuta Torku Cycling. Senza pretese, si è rimesso in gioco e finora ha avuto ragione.
Tanto, tantissimo. Vincere è bello, non ho mai provato una emozione più grande della vittoria, e non solo nel ciclismo. A me piace vincere, avevo perso questa cattiveria negli ultimi mesi, avevo smarrito questo voler cercare di vincere a tutti i costi. Ho ritrovato me stesso, questo è lo spirito che voglio, ho acquisito fiducia. Tante cose, tanti dettagli che mi hanno fatto davvero bene.
Vincere è sempre difficile, ma in Serbia sapevo che quella tappa l’avrei vinta. Me lo sentivo, lo dicevo ai miei compagni di squadra: ho attaccato su un tratto in salita al 4% e sono arrivato da solo. Sarà stato anche il Tour de Serbia e non il Tour de France, ma quando vinci così ti scatta qualcosa, capisci di stare bene. Sei felice. La chiave di volta è stata comunque al Tour of Bihor, in Romania, con il secondo posto nella generale e anche nella tappa regina: una salita di 12 chilometri che ho completato dietro solo a Torres della Androni. Lì ho capito che qualcosa rispetto agli ultimi mesi era cambiato.
Sì, assolutamente. Sia sul piano fisico che su quello psicologico non mi sono mai sentito così bene. Sono andato forte in corse minori, voglio confermarmi in appuntamenti di livello superiore. Non sono mai stato meglio, quindi vorrei togliermi altre soddisfazioni.
È molto duro, mi piace, c’è una bella salita da affrontare e nel complesso potrà essere una gara molto tosta. Sì, sono andato a studiare il percorso insieme ad un ciclista amatore della zona che conosco, così mi ha spiegato diversi segreti. Dovremo affrontare per quattro volte questo percorso finale da 21 chilometri, che include la salita della Serra, che ha pendenze importanti; è lunga circa quattro chilometri ma gli ultimi due hanno punte al 15% e la pendenza non scende mai sotto il 10%. Il pezzo più duro è lungo circa 200/300 metri, però viene preso di slancio dopo una contropendenza.
Se ci sarà, mi sembra il percorso perfetto per Diego Ulissi. Però anche gli altri stanno bene: Aru è in grande forma ed in salita è uno dei pochi che può fare la differenza insieme a Nibali. Moscon sta bene, forse meglio di tutti e si è visto in Francia. Brambilla c’è, ha avuto molta sfortuna in questa stagione ma è sempre andato forte. Penso che si arrivi in un gruppetto, spero che la corsa si faccia dura per escludere dalla lotta finale corridori come Colbrelli e Trentin che in volata sono i più forti.
Per questa volta, mi avvalgo della facoltà di non rispondere. O meglio, so cosa voglio ma non voglio dirlo troppo forte. Non mi voglio sbilanciare, in passato spesso mi sono espresso sulle mie ambizioni ma questa volta preferisco tenerle per me.