scelse il Sacro Monte prealpino e la malinconia lombarda per la revisione delle bozze del suo capolavoro.
Prodigi e diari di viaggio della letteratura italiana. “Sono in albergo nuovo e pulitissimo, sopra Varese, a 3 ore da Milano” scriveva Giovanni Verga (Catania, 1840 – 1922) al fratello Mario, in una lettera del 29 luglio 1880, ospite dell’Hotel “Riposo”, “un alberghetto a piè della salita della Madonna del Monte” aperto, nel 1877, alla Prima Cappella: “in mezzo ad una natura splendida”, secondo alcuni residenti ravvisabile nella trattoria albergo “L’Immacolata”, attualmente dismessa.
Il padre del Verismo aveva annunciato al fratello, il giorno prima, che avrebbe raggiunto l’albergo a sera. E il 9 agosto 1880 forse proprio da qui Verga inviava all’editore Treves “la prima metà del manoscritto” del romanzo che avrebbe pubblicato con il titolo “I Malavoglia”.
Il luogo era ameno e ideale per scrivere: all’albergo “Riposo” aveva “trovato il fresco, la quiete e la tranquillità di cui abbisognavo” per dare l’ultima “pulitura” al celebre romanzo che avrebbe pubblicato nel 1881.
Proprio come Stendhal, anche il famoso romanziere siciliano, ascese al Santuario di Santa Maria del Monte. Ma l’incantesimo varesino è anche lacustre: lo scrittore si era spinto in carrozza, fino alle rive del Lago Maggiore, visitando il lago di Lugano e quello di Como, proprio come rivela nella novella “I dintorni di Milano” dove li definisce con Varese “fra i più belli del mondo”. Stendhal docet.
“Tutto ciò infine prova che Milano è la città più città d’Italia. Tutte le sue bellezze, tutte le sue attrattive sono nella sua vita gaia ed operosa, nel risultato della sua attività industre”.
“Il più bel fiore di quella campagna ricca ma monotona è Milano – continuava – ; un prodotto in cui l’uomo ha fatto più della natura. (…) Milano non ha la sua Brianza per farvi trottare i suoi equipaggi? Non ha i laghi per rovesciarvi la piena della sua vita elegante? Non ha Varese per farvi correre i suoi cavalli? Le passeggiate e i dintorni di Milano sono un po’ lontani, è vero; ma sono fra i più belli del mondo. Tutt’a un tratto, dalle alture di Gallarate, vi si svolge davanti un panorama che è una festa degli occhi”
“Allorché vi trovate per la prima volta sul ponte del battello a vapore – scriveva – , rimanete un istante immobile, e colla sorpresa ingenua del piacere stampata in faccia, né più né meno di un contadino che capiti per sorpresa in una sala da ballo. L’ammirazione è ancora d’impressione, vaga e complessiva. Non è lo spettacolo grandioso del Lago Maggiore, né quello un po’ teatrale del Lago di Lugano visto dalla Stazione”.
Nel novembre 1872 Verga si era trasferito, dunque, a Milano (l’amico Capuana, già legato a lui dal tempo del soggiorno fiorentino, lo raggiunse nel 1877), dove rimase stabilmente per una ventina d’anni, sedotto e conquistato dal vivace mondo culturale della città, dalla temperie della Scapigliatura, dagli intellettuali con lo sguardo volto alla narrativa europea e francese in particolare.
A Milano e alla vita elegante e mondana dei salotti lombardi è collegata la stagione narrativa di “Tigre reale” ed “Eros”, pubblicati nel 1875.
Ma già dall’anno prima, con “Nedda” era stato gettato quel seme verista destinato a germogliare e a caratterizzare tutta la sua poetica, con la “conversione” al Verismo. Le celeberrime raccolte di novelle “Vita dei campi” del 1880 e “Novelle rusticane” del 1882, mentre nasceva il ciclo romanzesco de “I vinti”, la cui prima opera era costituita appunto da “I Malavoglia”.
Nel frattempo Verga pubblicava opere di ambientazione non siciliana, come “Il marito di Elena” e si dedicava al secondo “capitolo” del ciclo dei Vinti: “Mastro-don Gesualdo”. Proprio dal capoluogo lombardo, convinto dell’importanza delle sue opere, avviò una corrispondenza con lo scrittore elvetico Edouard Rod, che divenne poi il traduttore de “I Malavoglia” in francese.
Nonostante la scarsa fortuna del romanzo dedicato alla famiglia Toscano, nel 1884, Verga ottenne il grande successo a teatro, con il dramma “Cavalleria rusticana”, in seguito musicato da Mascagni, sull’onda del quale intraprese un viaggio, stavolta a Parigi, dove poté incontrare gli scrittori Émile Zola ed Edmond de Goncourt. Naturalismo e Verismo si incontrarono di persona, stavolta il canone dell’impersonalità era escluso.