– La denuncia di una mamma coraggiosa porta alla “decapitazione” di una vera e propria azienda dello spaccio localizzata tra i boschi di Gallarate, Busto Arsizio, Uboldo e Saronno.
I carabinieri della compagnia di Gallarate dopo tre anni di indagini serrate hanno chiuso il cerchio: eseguendo 16 ordinanze di custodia cautelare alcune in carcere, altre ai domiciliari o con obbligo di firma, e indagando a piede libero altre 36 persone. «Questo conferma – ha detto ieri il colonnello , comandante provinciale dei carabinieri di Varese – quanto sia fondamentale la collaborazione dei cittadini. C’erano già attività in corso, ma quella denuncia che confermava l’attività di spaccio, ha permesso al pubblico ministero della Procura di Busto Arsizio Luigi Furno e a noi, di ottenere in modo tempestivo tutte le autorizzazioni per le attività di indagine svolte».
L’operazione Zatla (come i signori della droga chiamavano l’hashish in codice) ha permesso di spazzare via un sodalizio che vedeva un vertice piramidale: a capo dell’attività c’era un marocchino di 25 anni, con due fratelli sempre marocchini, che utilizzava manovalanza italiana per gestire un giro di spaccio articolato tra le province di Varese, Como, Milano, Verbania e Ancona. Tutto dal centro di un bosco: quello che si infittisce nel vivo del parco dei mughetti di Uboldo.
Tutto, si diceva, è partito da una mamma che notando l’atteggiamento sempre più stano e impaurito del figlio minorenne investiga riuscendo ad intercettare alla fine un sms capace di svelarle quello che stava accadendo. «Il ragazzo – ha spiegato il capitano della compagnia di Gallarate – aveva contratto un considerevole debito di droga con uno spacciatore e non riusciva più a pagare quanto dovuto». La mamma non ci pensa due volte e denuncia tutto ai carabinieri. Da quel messaggio i militari del nucleo operativo radiomobile di Gallarate arrivano a due spacciatori “urbani”: un marocchino e una bellona italiana. I quali spacciavano tra i locali della movida gallaratese e non solo. Pezzo dopo pezzo si arriva alla realtà impiantata nel fitto della boscaglia. Dove, in ricoveri di fortuna e spostandosi continuamente, stava il boss marocchino.
«Una vera e propria attività commerciale – ha spiegato Brunetti – La manovalanza italiana accompagnava la mattina il venticinquenne sino ai boschi tornando poi a prenderlo a fine giornata. Su richiesta la stessa manovalanza portava il pranzo, la cena o qualcosa da bere al venticinquenne». Che dai rovi dispensava droga. C’erano i bodyguard (sempre italiani) armati di machete e c’erano gli addetti alla selezione all’ingresso del bosco: «se non eri un cliente conosciuto dovevi essere presentato da qualcuno. Altrimenti al bosco non aveva accesso». E dal fogliame si spacciava tutto: hashish, marijuana, cocaina ed eroina. Servizio completo