«Fu Stefano Varano a dirmi che era ovvio che da Brescia arrivasse un aiuto a Binda. Che a Brescia Binda aveva tanti amici, compagni di università che avevano frequentato l’Università Statale come lui».
E Stefano Varano, luinese di 50 anni, commerciale, amico di Patrizia Bianchi, anche lui militante di Cl all’epoca dell’omicidio di Lidia Macchi, entra nel processo a carico di Stefano Binda, 50 anni di Brebbia, accusato dell’omicidio della giovane studentessa uccisa 30 anni fa.
L’antefatto risale alla prima udienza del dibattimento davanti alla corte d’assise presieduta da Orazio Muscato.
Un avvocato di Brescia, Piergiorgio Vittorini, stimato, blasonato e parte civile nel processo della strage di piazza della Loggia a Brescia, ha inviato una lettera alla corte e alle parti dichiarando di rappresentare una persona, il sesso non è stato specificato, che asseriva di essere il vero autore della lettera In morte di un’amica, missiva anonima recapitata a casa Macchi il 10 gennaio 1987 giorno delle esequie di Lidia, e attribuita a Binda grazie alla testimonianza di Bianchi.
Ma di non potere rivelare il nome del suo assistito almeno che questi non lo liberi dal segreto professionale. Un colpo di scena notevole visto che la lettera, che gli inquirenti sostengono essere stata scritta dall’assassino di Lidia o da persona che molto sa su quell’omicidio, è il solo (seppur confutabile da altra perizia di parte) vero indizio che potrebbe collegare Binda all’accaduto. L’accusa ci ha sempre contato. La Corte ha ammesso il teste decidendo però di ascoltarlo come 101esimo testimone, quindi tra parecchi mesi. Nella penultima udienza il presidente Muscato dice di aver ricevuto una lettera da Patrizia Bianchi che contestualmente ha riferito (ma non verbalizzato) delle informazioni agli agenti della squadra mobile. E cioè che quella lettera altro non era che «un preordinato depistaggio con regia bresciana».
Facendo tre nomi: Vittorini, ovviamente, che ha già smentito categoricamente, l’ex sindaco di Brescia Adriano Paroli e Paolo Tosoni, avvocato che in una lettera ha già dichiarato di essere stato turbato umanamente e professionalmente da quella menzogna. E’ l’avvocato di parte civile Daniele Pizzi che, avendo Paroli tra i testi, ha sollevato intelligentemente l’argomento. E Bianchi ha dichiarato di aver riferito de relato. Cioè di aver detto ciò che una terza persona le aveva riferito. «Mi disse che Binda a Brescia aveva molti amici».
Che era ovvio che un tentativo di salvataggio arrivasse da lì. E incalzata da Pizzi e dal presidente Muscato Bianchi fa il nome di chi le disse ciò che poi lei, da cittadina e cristiana, ha riferito alla Questura: «Stefano Varano».
Muscato è stato chiarissimo: «o ci sono le prove. E ci si deve assumere la responsabilità di queste affermazioni».
Muscato ha quindi ordinato la citazione come teste diretto di Varano in seno alla prossima udienza fissata per il 14 luglio. Varano potrà smentire Bianchi. E a quel punto la questione si complicherebbe ulteriormente. Potrà produrre le prove di quanto affermato. E sono affermazioni gravi. O in caso contrario potrebbe rischiare una denuncia per calunnia. Se confermasse senza prove quanto riferito avrebbe accusato di un reato tre persone senza alcun argomento a sostegno della tesi. Soltanto sulla base di dicerie o di illazioni. Il nodo sarà sciolto tra un settimana.