A Firenze faceva caldo, un bel caldo umido e appiccicoso, di quelli che sembrano suggerirti una rapida fuga al mare, in piscina o su un’amaca in pineta. Invece eravamo in tantissimi. Ero un po’ scettico: quello che sarebbe andato in scena di lì a poco era il primo concerto di Eddie Vedder da solista in Italia – rivelerà di essere particolarmente emozionato e di non aver mai suonato da solo davanti ad un pubblico così numeroso, 56 mila persone. «Questo succede solo in Italia», dirà lui stesso. Un po’ scettico, dicevo. Un festival rock all’aperto, 56 mila persone per un concerto solista, chissà.
Forse le chiacchiere copriranno la musica e la voce di un solo uomo sul palco, forse sarebbe stato più adatto ad un teatro. Ma Eddie Vedder, prima di imporsi come grandissimo cantautore, è stato ed è tutt’ora leader e voce di una delle più grandi band della storia della musica rock, e sicuramente del movimento Grunge, ovvero i Pearl Jam. La sensazione infatti è quella di essere ad un loro concerto, si moltiplicano le magliette di Pearl Jam appunto, o di altri gruppi storici della Seattle degli anni ’90, dai Nirvana ai Soundgarden.
Sarà una serata speciale, forse il concerto della vita per tanti, per tante ragioni, perché Chris Cornell, amico intimo di Eddie e voce leader dei Soundgarden è da poco scomparso, perché è San Giovanni, patrono di Firenze, perché è il suo primo concerto da solista in Italia, perché siamo tantissimi davvero, e siamo tesi ed emozionati. L’attesa infinita ci porta al boato delle 22.30, quando Eddie, dopo i live di Samuel dei Subsonica e Glen Hansard,
sale sul palco, con un incedere apparentemente goffo ma sicuro di essere nel suo “place to be”, su quel palco scarno con qualche strumento e un registratore a nastro, addobbato come una cameretta. Parte forte Eddie, subito tre brani storici dei Pearl Jam, alcuni brani intimi e meravigliosi tratti dalla colonna sonora di Into The Wild, una Black dedicata a Chris in cui lui stesso si commuove e cover da brividi, tra cui Brain Damage e Comfortably Numb dei Pink Floyd e una Imagine da pelle d’oca, con una platea illuminata a giorno da smartphone e luci.
Quando una stella cometa solca il cielo, capiamo che probabilmente stiamo davvero assistendo al concerto della vita, quello che non dimenticheremo mai. Due ore da solo sul palco con un’energia ed una connessione incredibile con il suo pubblico, tutto in rigoroso silenzio, rotto solo per cantare a memoria canzoni che si sono prese uno spazio d’onore nella storia della musica.