Chissà che cosa avrà pensato quella mattina dell’8 agosto del 1969 mentre davanti a lui quattro tizi un po’ scombinati attraversavano le strisce pedonali come oche in fila indiana. Aveva deciso di prendersi un break, una pausa, dalle visite ai musei con la moglie e stava scambiando quattro chiacchiere con un policeman intento a fermare il traffico. «Sono pazzi questi inglesi» avrà pensato Paul Cole, l’americano. Ignaro che quei quattro scombinati con i capelloni erano i e che lui era stato inconsapevole testimone della Storia.
Già, perché è proprio Paul Cole quella figura in piedi sullo sfondo a ridosso del marciapiede, finita involontariamente nella leggendaria copertina di Abbey Road, il decimo album dei Fab Four. Oggi lo sappiamo: ogni disco dei Beatles è memorabile, a partire dalle copertine. Da Revolver a Sgt. Pepper, originali, innovative, sicuramente mai banali. E Abbey Road non fa eccezione. Quello di è uno scatto tanto semplice quanto magistrale, che colloca i Beatles in un luogo fisico vero, reale, riconoscibile. Abbey Road era già “mitica” per essere la sede degli studi di registrazione dove i Quattro avevano creato tutti i loro capolavori: la foto l’ha resa luogo di culto, meta di pellegrinaggi e ritiri spirituali.
Quello di Abbey Road, nella sua semplicità, è uno scatto eccezionale. In una foto si intrecciano mito e leggenda, musica, mistero e storia. Sì, perché dopo gli esordi in “divisa” di quattro ragazzi omologati l’uno all’altro, , , e avevano cominciato a dare sfogo anche alle loro individualità, dentro e fuori dal palco.
E in uno solo, memorabile scatto le diverse singolarità di un formidabile tutt’uno appaiono evidenti e prepotenti. C’è George, informale e spirituale, John in total white già prossimo alla svolta radical chic, l’englishman Ringo e Paul, come sempre diviso a metà tra rock e melodia, impegno e leggerezza.
E proprio McCartney è il centro della bellezza enigmatica di Abbey Road. Piedi nudi, sigaretta nella mano destra (è mancino), fuori passo rispetto al gruppo: dettagli-indizi che hanno reso la copertina un puzzle e che hanno contribuito ad alimentare la leggenda che vorrebbe Paul morto in un incidente stradale nel 1966 e i Beatles pronti a spargere messaggi segreti e quasi indecifrabili nelle copertine dei loro album o nei testi delle canzoni.
C’è chi grida al complotto, chi crede nell’idilliaca isola deserta dove disserta con e dove fa il moonwalk con . E c’è chi è convinto che il baronetto, nella foto e nella vita reale, sia stato sostituito da un sosia, che i suoi piedi nudi siano un chiaro segnale della sua morte, visto che nel Regno Unito i defunti si seppelliscono senza scarpe, che la targa LMW 281F del maggiolino Volkswagen fermo sullo sfondo sarebbe un chiaro riferimento all’età che Paul avrebbe avuto se fosse stato ancora vivo, che Lennon in bianca veste sia una sorta di sacerdote o addirittura l’incarnazione di un angelo.
Un grattacapo divertente e affascinante, su cui lo stesso Paul ha voluto giocare. Nel 1993 con l’album da solista “Paul is Live”, McCartney ricostruisce la mitica copertina del ’69: lui, trainato dal suo cane, sulle strisce di Abbey Road e con lo stesso maggiolino Volkswagen in sosta sulla sinistra, questa volta però con una targa nuova, “51IS”, ovvero “Paul is 51”, Paul ha cinquantun anni, l’effettiva età nel 1993. Peculiarità che, negli anni, hanno reso la copertina di Abbey Road ancora più leggendaria.
E iconica. Tanto che, tra serie tv e musicisti, in tantissimi hanno voluto imitare, ricreare e parodiare l’attraversata. Compresi i milioni di fan che arrivano da tutto il mondo per ricalcare le orme dei Beatles a Abbey Road. Una normalissima strada londinese che il più grande e importante gruppo della storia della musica ha reso immortale. Una strada che non è più solo una strada. È Abbey Road.