È il giorno dopo qui a Barcellona, ventiquattro ore fa l’attentato terroristico ha gettato nel panico la città e dato il via ad un’escalation di paura e tensione che ci hanno avvolto fino a notte fonda. Quando il terrorismo non è più solo immagini alla televisione o articoli di giornali tutto cambia. È quello che ho pensato io giovedì 18 agosto quando il male, uno dei peggiori della nostra epoca, si è concretizzato a cinquecento metri da casa mia, sulla Rambla. Se non fosse ancora per la molta polizia che controlla le vie del centro, venerdì sembrerebbe una giornata qualsiasi. Questa città ci ha messo poche ore a ripartire; all’arrivo delle autorità per le cerimonie della mattinata nella grande Piazza Catalunya, la vita è tornata ad occupare i luoghi di morte.
Ma è il giorno dopo e il segno di quello che è capitato, al di là della grande reazione, è visibile. In molti oggi hanno voluto visitare il luogo dell’attacco e camminando verso la mitica via che porta al mare sorprende quasi il tentativo di reagire e tornare ad essere l’altro ieri. Penso gli attimi successivi all’attentato, al furgone gettato sulla folla; nelle vie a confine tra il quartiere Gotico e il Born le scene di panico erano visibili ad ogni angolo.
Incolonnato sulla via Laietana ho assistito a tutto questo, mentre dal lato opposto le camionette dei Mossos dividevano il centro storico in due. Vie strette quasi senza luce, la parte più antica di Barcellona, che in un maledetto giovedì di agosto sono diventate un labirinto di paura per centinaia di persone prese dal panico. Piazza Catalunya e piazza Urquinaona sono collegate da una larga strada. Qui, tra i poliziotti, una fiumana di gente scappava dal centro. Una folla disordinata, tra pianti di bambini, cellulari che squillavano in continuazione e una moltitudine di idiomi che avevano in comune una cosa: l’espressione della paura.
Sono scene che sembrano ancora più irreali se paragonate al giorno dopo, a questo ritorno alla luce nel dolore e nella forza dimostrata da tantissimi e osteggiata dalle autorità. WhatsApp ieri è stata subissata di messaggi provenienti dall’Italia. Io e i miei colleghi eravamo aggiornati continuamente su quello che stava accadendo nella loro e da poco mia città; solo oggi l’applicazione trova un po’ di pace. Alle 18 di giovedì Avenida del Paralelo, la grande via che unisce la periferia sud ovest e l’aeroporto alla zona marittima a lato della Rambla, era bloccata da numerosi dai posti di blocco. La tensione era molto alta e, a qualche centinaio di metri, la caccia all’uomo che stava avvenendo nel Raval era solo l’inizio di quella che poi si sarebbe estesa in tutte le città, della costa fino Cambrils, luogo del secondo attentato sventato dai Mossos con una sparatoria sul lungomare.
Pattuglie a sirene spiegate percorrevano avanti e indietro lo stradone mentre gruppi di poliziotti scortavano sui marciapiedi decine di persone che uscivano dal centro. Se possibile la paura diventò ancora più grande, le voci di attentatori armati in fuga si rivelarono reali mentre in cielo gli elicotteri sorvolavano i tetti tra il porto vecchio e il Poblenou. Il giorno dopo le auto hanno ripreso numerose a battere quella stessa via e gli autobus a fare la spola tra El Prat e la città. Non ci si ferma, non ci si vuole fermare. Ad ogni nuova notizia sul terrorista alla macchia, sui particolari dell’attacco e su un primo obiettivo dei terroristi: attaccare non la Rambla ma una delle affollatissime feste di Gracia o Sants questo fine settimana, si uniscono parole di apertura e libertà nel tentativo, comprensibile di scongiurare fantasmi di un passato recente fatto di repressione. Il mondo si stringe attorno all’ultimo dei bersagli colpiti, la città dice ‘No tinc por’ (Non ho paura) e il sentimento di condivisione e unione è grande. Barcellona all’alba del giorno dopo era avvolta da un silenzio di paura, si è rialzata e ha ripreso a camminare, tra le lacrime.
In molti hanno provato questa sensazione, me compreso: un sentimento di rabbia che monta forte quando ti accorgi che la tua sicurezza, che pensavi fosse tale, viene violata. Poi arriva l’impotenza. In fine il tentativo di trovare risposte costruttive presto o tardi attecchisce dopo che le migliori reazioni sono quelle di tornare a vivere la tua vita, meglio, cento volte più intensamente. Io questa sarà andrò a nuotare nel mare; per sentirmi libero, per non essere sconfitto da nessuno. Quello che si percepiva prima dell’attentato era di una città sicura ma nel contempo aperta; non solo ai turisti, a tutti. Un luogo che viveva di un multiculturalismo storico, quasi genetico. Caratteristiche che, nella visione paranoica e assassina dei nostri nemici da sconfiggere con ogni mezzo, diventano vantaggi. In questo giorno dopo, grazie ad un enorme sforzo intellettuale e di libertà, la paura e lo sconforto non hanno avuto la meglio.