Nanni Svampa era lo stesso, su e giù dal palco.
Lo può testimoniare chi lo ha conosciuto e con lui ha a lungo conversato come Mario Chiodetti, giornalista e artista, nonché amico del comico varesotto d’adozione.
«Eravamo amici e abbiamo fatto anche degli spettacoli insieme tanti anni fa» ricorda.
«Negli ultimi anni ha avuto dei problemi di salute, ma quando stava bene il suo cruccio maggiore era che nessuno lo chiamasse o che quando lo facevano fosse a titolo gratuito come se non valesse quanto aveva realizzato in campo musicale, come attore e autore. Era forse l’unico suo rammarico, oltre all’attivismo politico non premiato, ma il suo era ancora uno spirito vivace». Scriveva libri di vario genere e si teneva attivo.
«Andavo a trovarlo a Porto Valtravaglia. L’ho intervistato nel 2015 e, nonostante in quel periodo fosse malato e stanco, aveva voglia di far qualcosa. Pensava di non aver la forza di realizzare uno spettacolo tutto da solo, ma cercava partner per metterne insieme uno nel quale fare una chiacchierata sulla canzone e magari accennando qualche pezzo».
Era un uomo generoso e di grande cuore «che aveva cultura sterminata non solo nel campo della canzone milanese».
La versatilità di Svampa si riassume in momenti storici del suo percorso.
«Fondamentale è La Milanese, l’antologia della canzone lombarda in 12 dischi curata da lui stesso. È impossibile poi tralasciare il poeta e cantautore George Brassens che tradusse e incise in dialetto meneghino».
Da ultimo i ruoli interpretati da attori per sceneggiati e grande schermo.
«Fece un divertente cameo nel panni di uno chansonnier nel film “Homo eroticus” con Lando Buzzanca e diretto da Marco Vicario che lo sceneggiò insieme a Piero Chiara. Il massimo lo diede però nella fiction dedicata alla vita di Giuseppe Verdi, interpretando magistralmente l’impresario Merelli».
Il ricordo poi si fa personale: «mi chiamava “tanghero zifolatore” perché all’epoca mi esibivo in uno spettacolo sul tango e mi aveva invitato sul palco con lui per qualche serata dal Ciak di Milano a Campione d’Italia».
Nanni aveva «ricambiato quando feci uno spettacolo sulla Scapigliatura al Chiostro di Voltorre. Fece una splendida comparsata cantando “De tant che l’era piscinin” nei panni di Barbapedana, il cantore della Milano popolare dell’800».
Il pensiero corre inevitabilmente all’amata moglie Dina.
«Lei non lo mollava mai. Erano una coppia di ferro, una delle poche funzionava anche nel mondo dello spettacolo. Si erano sposati nel 1962, nell’epoca di maggior successo dei Gufi e non si sono mai lasciati».