Un paio di occhiali rotondi. Il suo straordinario sguardo sul mondo racchiuso in un oggetto, famigliare e inequivocabile. Di vetro come le perle del suo giuoco, il romanzo filosofico “Das Glasperlenspiel”. Andare in visita al Museo della Fondazione a Montagnola – dove oggi alle 16 ci sarà una lettura con e da “Poesie ed un racconto”-, alla Casa Camuzzi, sulla Collina d’Oro sopra Lugano, significa provare a guardare il mondo dalla prospettiva di uno scrittore e poeta particolarissimo, premio Nobel per la Letteratura nel 1946.
Attraversare i suoi sentieri, visitare i luoghi in cui sono state concepite le sue opere più famose, come un pellegrinaggio, negli occhi una sorta di devozione, che cresce alla vista dei piccoli oggetti che riassumono la vita di un uomo. Il cappello che usava nell’orto contro il sole, i suoi manoscritti e dattiloscritti, penne, fermacarte e calamai. E i suoi libri e gli acquerelli, le cartoline che, oltre a scrivere, amava anche dipingere. Si trova l’ombrello, magro come era lui. E la sua macchina da scrivere Smith & Wesson, su cui sono stati scritte tutte le centinaia di pagine che formano la sua opera.
Hermann Hesse era nato il 2 luglio 1877 a Calw sulla Nagold, nel Würtemberg. La componente pietista della famiglia è marcata, i genitori di Hesse erano stati missionari in India, il nonno era un famoso orientalista, profondo conoscitore dell’India. Pietismo e passione per l’oriente sono stati certamente alla base della formazione dell’uomo, prima ancora dello scrittore.
Tra gli anni 1881 e 1886 la madre annotava nei suoi diari che il figlio la faceva molto soffrire. Pochi anni dopo, il giovane Hesse viene espulso dal seminario di Maulbronn: il suo comportamento avrebbe potuto esercitare un cattivo influsso sui compagni e viene quindi mandato da un pastore esorcista: poco dopo acquista una pistola e minaccia di togliersi la vita.
Dopo un drammatico soggiorno in una “Casa di cura per malati di mente”, Hesse si iscrive al ginnasio di Cannstatt, ma decide di lavorare come apprendista alla fabbrica di orologi Perrot di Calw. Nel 1899, pubblica i suoi “Canti romantici”, una raccolta di liriche e “Un’ora dopo mezzanotte” pubblicata a Lipsia, che gli vale le lodi di Rilke: «Le parole sono come di metallo e si leggono lente e pesanti».
A Basilea sposa Mia,
, di nove anni più grande, esponente di una nota famiglia di scienziati e una fine e sensibile pianista. Poco prima del matrimonio, nel 1904, Hesse definiva la donna amata «almeno pari a me per quanto riguarda la formazione, l’esperienza di vita e l’intelligenza, è più anziana di me, e in ogni senso una personalità indipendente e laboriosa».
In seguito, seguendo l’ispirazione di e sull’influsso degli ideali della moglie, la coppia si trasferisce in una semplice casa di contadini sul Lago di Costanza, e in questa fase a contatto con la natura, nascono nel 1905, 1909 e 1911 i figli , e . Spinto da una intima esigenza, Hesse viaggia in India, nel 1911 e arriva fino a Singapore e Sumatra, ritrovando il misterioso e affascinante mondo dell’infanzia.
Durante gli anni bui della guerra, si affida, mettendosi in salvo, alle cure di uno psicanalista che lo inizia all’esplorazione dell’inconscio e ai suoi miti, i cui influssi interesseranno la sua opera, dal “Demian” al “Lupo della steppa”. Nel 1919, Hesse decide di restare in Svizzera e si trasferisce alla Casa Camuzzi di Montagnola. La moglie Mia è ricoverata in clinica per malattia mentale.
La situazione in Ticino non è florida, vive grazie all’appoggio di alcuni amici e si dedica alla scrittura e, mentre scrive “Siddharta”, si sottopone a sedute psicanalitiche con . .
Hermann Hesse non andò a Stoccolma a ritirare il premio Nobel: quel 10 dicembre 1946 scrisse un discorso di ringraziamento che venne letto durante il banchetto. Non aveva la stoffa, o meglio, il frac da indossare, come disse un suo amico. Lo scrittore tedesco più letto al mondo, autore delle luminose pagine di “Narciso e Boccadoro” preferiva la radiosa Svizzera, e le morbide colline del Mendrisiotto così vicine all’amata Italia, un cappello di paglia in testa e vere e proprie carriole di lettere da aprire.
Morì qui, nel buen retiro di Montagnola, il 9 agosto 1962, dove, come scrisse «il sole è più intenso e caldo e le montagne sono più rosse, qui crescono castagni, la vite, mandorli e fichi e la gente è buona, educata e gentile».