lancia da Malpensafiere la sua campagna elettorale per scalzare Maroni da Palazzo Lombardia: «I cittadini lombardi non vanno presi per il naso con la propaganda: non succederà che la Lombardia avrà indietro 27 miliardi di residuo fiscale, come non è rimasto qua il 75% delle tasse».
Era l’ospite più atteso della giornata, anche perché rispetto al governatore Roberto Maroni, tenuto dalla sua carica istituzionale ad una posizione super partes sulla consultazione del 22 ottobre, il sindaco di Bergamo aveva libertà di parola. Pur ammettendo che, per i sindaci sostenuti dal Pd, quella di partecipare ad un evento sul referendum è stata «una scelta non facile, che ha portato e porterà critiche», Gori non rinuncia a prendere la scena per lanciare, a distanza perché nel frattempo Maroni aveva lasciato Malpensafiere per volare a Roma, la sfida in vista delle regionali di primavera.
«Siamo qui – spiega Giorgio Gori – perché noi siamo per l’autonomia, in quanto pensiamo che possa dare slancio alla competitività della Lombardia per dare maggior traino allo sviluppo del Paese. Infatti a dicembre 2015 con tutti i sindaci dei capoluoghi e i presidenti di provincia lombardi abbiamo manifestato al governatore la disponibilità ad accompagnare la sua richiesta di maggiori competenze per dare sponda e spinta autonomie, in una lettera rimasta nel cassetto, perché si è
preferita la strada referendum. Ma non abbiamo nessuna intenzione di lasciare la bandiera autonomia ad una sola parte politica». Tanto più che proprio quella parte, ricostruisce il sindaco di Bergamo, «nel 2008 – premier Berlusconi, con quattro ministri leghisti tra cui Maroni e Zaia – fece capire all’allora presidente Formigoni, che l’anno prima aveva iniziato a negoziare con il governo Prodi le 12 competenze aggiuntive che erano state approvate all’unanimità in Consiglio regionale, che l’autonomia differenziata doveva rimettersela in tasca perché si sarebbero prese altre direzioni. La trattativa si interruppe e oggi i leghisti dovrebbero chiedere scusa, lo dice Formigoni». Gori stigmatizza anche «la comunicazione che sta passando nella propaganda pro- referendum: «Per molti inutile e inutilmente costoso, noi abbiamo deciso di privilegiare il merito rispetto alla critica, giustificata, allo strumento. Ma vi sembra che il quesito parli di residuo fiscale, statuto speciale, decine di miliardi da riportare in Lombardia? Non succederà, come non è successo che il 75% di tasse siano rimaste qua: nemmeno ci hanno provato. La richiesta di 27 miliardi, una cifra che è più del bilancio Regione e più del bilancio della sanità di tutto il Sud, è propagandistica e non ha nessuna possibilità che si concretizzi, perché porterebbe ad una secessione mascherata e al default dello Stato. Perché prendere per il naso i cittadini lombardi?». Così Giorgio Gori, cogliendo la «moderazione» dell’approccio di ieri di Maroni, lancia la «sfida» dei sindaci di centrosinistra: «Basta propaganda, parliamo di cose serie, di competenze e risorse – l’appello del sindaco di Bergamo – se è così, prendiamo l’impegno che chiunque vinca la prossima primavera sarà al fianco dell’altro nella trattativa con il governo. Consapevoli che più si alza il tiro, più si spaventa il resto d’Italia e si allontana il risultato». Lo ribadisce anche il sindaco di Varese : «Per evitare che il referendum sia un’illusione e uno sperpero di denaro, occorre attrezzarsi per il 23 ottobre, facendo sì che gli enti locali possano reggere alla grande opportunità dell’autonomia. Ma occorre veicolare un messaggio corretto, per evitare si alzi l’asticella su aspettative che poi non potranno concretizzarsi. Se è propaganda, non ci stiamo».