Si può racchiudere una partita finita tanto a poco in due sole azioni? Si può. Anzi, già che ci siamo ci richiudiamo potenzialmente un’intera stagione. Varese-Venezia, minuto 17: i padroni di casa sono avanti di 4 punti, coach De Raffaele ha appena chiamato timeout, Varese sta reggendo l’urto dei Campioni d’Italia soprattutto grazie a una difesa grintosa e nel complesso efficace, al netto di qualche errore. Si ritorna sul parquet dopo la sospensione, attacca la Reyer e la squadra di Caja aggredisce ogni passaggio come fatto poc’anzi,
contenendo un paio di tentativi di uno contro uno e cristallizzando la manovra di Venezia. La palla capita ad Haynes, marcato a più di 7 metri dal canestro con il cronometro dei 24” in procinto di terminare la sua corsa: con la mano dell’avversario in faccia, l’esterno Usa si alza, tira e segna. Varese torna dall’altra parte del rettangolo, sbaglia, altro attacco Reyer: le modalità di esecuzione sono diverse, ma identico è il risultato. Altra bomba di Haynes. Game, set and match ospite: da +4 a -2 in un minuto, la Openjobmetis – per mille ragioni già pluri-commentate – non si riprenderà più. E, giusto per la cronaca, quelli appena raccontati saranno gli unici punti della partita scritti a referto da MarQuez Haynes.
Arriviamo al dunque? La giocata del solista, quella che esce dallo spartito, è imprevedibile, indifendibile, sa scavare differenze. Sempre o quasi. E non stiamo analizzando l’algoritmo dal lato passivo (come limitare il solista), lo analizziamo da quello attivo: la squadra di Caja il solista non lo ha o non l’ha ancora trovato. “Epperò” ogni squadra deve averlo: che poi sia Haynes, Michael Jordan o Wells (o Hollis) marca la differenza tra Venezia, i Chicago Bulls e la Varese che vuole darsi qualche chance di non soccombere (e che poi il solista sia accompagnato da seconde voci in quantità marca altre gradazioni di competitività). Il concetto è comunque uno: vivere di solo “coro” assomiglia tanto a una (bella) chimera.