La denuncia dei Consulenti del Lavoro: «Lo stop ai voucher, un colpo all’occupazione».
Il tema è stato al centro del dibattito con le organizzazioni sindacali del territorio al convegno di Enbil Confesercenti, Ancl Up (l’associazione dei Consulenti del Lavoro) e Ordine dei Consulenti del Lavoro a Ville Ponti. Se a livello nazionale l’Inps ha stimato nell’80% la diminuzione dell’utilizzo dei voucher dopo che il governo ha messo mano in maniera restrittiva a questo strumento in modo da sventare il referendum promosso dalla Cgil, il presidente del sindacato dei Consulenti del Lavoro di Varese (Ancl Up), Ferdinando Butto, quantifica in «almeno la metà, se non il 60%» il lavoro perso, rispetto a quello che con la vecchia normativa veniva coperto dai “buoni lavoro”.
«Un 40% si è sistemato con i contratti a chiamata, che soprattutto nella ristorazione e nei pubblici esercizi sono aumentati, ma il resto è tutta occupazione che non c’è più, o che rischia di diventare lavoro irregolare. In settori come il catering ci sono aziende che non hanno più nemmeno convenienza a lavorare, in assenza di strumenti flessibili per contrattare il personale».
Come spesso capita in Italia, per combattere gli abusi, si tolgono strumenti utili per le imprese che operano regolamente.
«I voucher – spiega Butto – erano un sistema di flessibilità che poteva funzionare, con meno speculazione da parte delle imprese più controlli dagli enti preposti. Anche perché la doppia comunicazione, sia all’Inps che all’Ispettorato, con segnalazione dell’orario di lavoro, disincentivava molto gli abusi. Così oggi tanti lavoratori, soprattutto giovani e studenti, non vengono più assunti».
I sindacati su questo fronte hanno posizioni diverse. «Eravamo contrari a eliminare i voucher – gli fa eco Adria Bartolich, segretario generale della Cisl Laghi – non averli sostituiti con uno strumento flessibile ha fatto tornare una buona parte di queste attività nell’alveo del lavoro irregolare».
Il segretario generale della Cgil ricorda che quella sui voucher è stata «una battaglia per le regole e la tutela dei diritti contro il disagio delle giovani generazioni a cui non possiamo lasciare la precarietà come unica prospettiva. Si poteva trovare una soluzione invece di cancellare del tutto lo strumento».
«La nostra posizione era di limitarli ai casi necessari – fa sapere , segretario generale della Uil – è stata fatta all’italiana perché gestita all’italiana. Il sindacato non è contro le forme di flessibilità, legate alle stagionalità e ad esigenze particolari, ma i dati erano diventati insopportabili.
È vero che molte aziende ne hanno bisogno ma il contrasto al lavoro nero non si fa con la massima precarizzazione del lavoro».