«Siamo andati a letto ieri sera sperando di vedere la nostra montagna nera il mattino dopo. Nera, senza bagliori, senza fumo. Ferita, ma spenta. Non è stato così».
A Luvinate e Barasso ieri la paura, ma anche il senso civico, correvano insieme tra strade e piazze. In mezzo all’odore di fumo, in alcuni punti in mezzo a quella fuliggine leggera che il vento trasportava dalla montagna in fiamme. , 85 anni, ha figlia, genero e nipotino di 4 anni che vivono a Luvinate. «Questa montagna un tempo ci ha tirati grandi tutti. Non immaginavi da bambino, quando la guardavi grande e faticosa da percorrere,
che un giorno qualcuno l’avrebbe messa in ginocchio». E racconta Rosa delle telefonate «la sera, anche tardi, con la figlia. Io vivo a Varese – spiega – da mercoledì sempre più frequenti. Lei mi dice “mamma stai calma”, ma ogni mattina ci svegliamo e le colonne di fumo sono ancora lì». «Marco è piccolissimo – racconta la donna – lo sappiamo che per le abitazioni non c’è pericolo. Ma quest’odore non dà tregua». Porgendo il viso alle folate di vento che quando scendono dalla montagna in fiamme sono caldissime.
vive a Barasso. «È un’angoscia costante – spiega – perché sembra non finire mai. Ogni sera sembra finita e invece il giorno dopo si ricomincia da capo. Il rumore degli elicotteri. Il rumore dei Canadair. Un ronzare costante, continuo durante il giorno. La puzza di bruciato, le sirene dei vigili del fuoco. Si scatta quando si sente passare un mezzo. Si scatta perché è il segnale che non è ancora finita. E ti trovi a pensare a pregare che il vento non spinga l’incendio ancora più giù. Dove ci sono le case, dove viviamo noi».
I sindaci di entrambi i comuni hanno più volte rassicurato i cittadini: nessun pericolo imminente per la popolazione. Ripetendo che si lavora in modo incessante per spegnere l’incendio. «Lo sappiamo – dice – crediamo a quello che ci dicono sindaci e soccorritori. Ma poi alzi gli occhi, annusi l’aria. È un odore persistente. Che hai in casa. Io cerco di tenere le finestre chiuse il più possibile. Sono contento di andare al lavoro a Milano per avere qualche ora di tregua. Ma resto sempre con il pensiero qui. Guardo i siti, chiamo casa per sapere come sta mia moglie, se ha notizie. È una sensazione di ansia mista a paura. La realtà è che non siamo in pericolo. Ma la verità è che non ci sentiamo tranquilli nonostante tutto».
Perché l’attesa ti dice una cosa. «Ma poi vedi il fuoco – prosegue Galli – come oggi, che si allarga ad ogni folata di vento e hai un brivido. Ci vorranno anni prima che la nostra montagna tornerà quella di prima. Dell’incendio non ci scorderemo mai. È qualcosa che ci poteremo dentro. L’offesa, la paura e la rabbia per l’accaduto».