Massimiliano “Max” Di Caro ha detto basta. Ieri mattina, una delle colonne della Varesina ha annunciato il proprio addio al calcio dopo una carriera lunga 25 anni. Molti di questi passati in rossoblù, diventando simbolo, figlio e amante della società di Venegono. Scrivendo le pagine più belle delle fenici e legandosi per sempre a quei colori, che ha promesso di aiutare, difendere e far crescere lontano dal campo.
Si tratta di una malattia genetica “rara”, che ho scoperto di avere a 27 anni. Negli ultimi tempi avevo paura di prendere colpi o pallonate: ho capito che non potevo più fare il calciatore. Questo mi ha portato a riflettere, e confrontandomi con la mia famiglia ho preso questa decisione: dura e molto sofferta, ma fondamentale per tutelarmi.
Certamente. Ci ho messo più di un mese e mezzo per decidere, perché volevo giocare e continuare a lottare. Soprattutto dopo l’esonero di Spilli e il momento che la squadra stava attraversando. Così ho stretto i denti e ho tirato avanti: ma con la Varesina nuovamente in salute ho capito che i tempi erano maturi.
La mia famiglia, i miei amici, su tutti Albizzati e Tino, Marco Spilli, i compagni di squadra e coloro che lavorano per la Varesina. Tutti mi sono stati vicini, mi hanno capito e aiutato. Ovviamente anche Alessandro Marzio, che mi ha fatto finire la carriera come un calciatore: lui non era a conoscenza del mio problema, e quindi mi ha schierato nelle ultime partite perché me lo sono meritato, non per farmi fare una passerella.
È così. I miei genitori e mio fratello Matteo mi hanno sempre supportato, anche quando sono scappato dal ritiro della Sampdoria. Cosa della quale mi pento ancora. I miei nonni materni mi hanno trasmesso la passione per il calcio e non sono mai mancati a una partita, mentre Albizzati e Tino sono come fratelli. Il mio mentore? Marco Spilli.
Ce ne sono tre. Il primo è l’esordio nella Nazionale Dilettanti, quando a 18 anni ho disputato l’Europeo. Poi il gol contro l’Olimpia in Promozione, con il bacio a mia nonna. Un episodio speciale perché è stato il gol che ci ha fatto vincere il campionato, nel giorno del mio compleanno, e arrivato in un momento personale negativo, perché mia nonna si era ammalata. L’ultimo è la finale dei playoff 2015 contro il Liventina, la partita che ci ha portati in Serie D: avevamo pareggiato 3-3 in casa, e in trasferta stavamo perdendo 2 -0. Poi la rimonta e il 5-2 finale. Il più brutto? L’esonero di Spilli.
Sono convinto che questa squadra abbia potenzialità e giocatori per fare grandi cose, a patto che non manchi mai la fame della Varesina. Quello spirito che ci ha sempre contraddistinti non dovrà mai mancare. Mai.
Ora è lo Scoiattolo la mia priorità – l’azienda di famiglia di cui è diventato direttore generale: se lo Scoiattolo sarà forte, lo sarà anche la Varesina.
Vero, ma non la occuperò. Per quel ruolo occorre aver fatto un cammino importante. In questo momento mi vedo come un ambasciatore della Varesina, lascerò a mio padre e a mio fratello la gestione della squadra. Hanno già dimostrato di avere le carte giuste per occuparsene.
A Martinoia: mi rivedo in lui e l’ho voluto io qui; o a Morello, che è nato e cresciuto qui, alla Varesina. Due ragazzi d’oro e dal futuro assicurato.
La donna sportiva della mia vita: l’ho amata con tutto me stesso, tra alti e bassi; a lei devo dire solo grazie. Per il passato, ma anche per il futuro.