«Nuove povertà? Non sono così nuove. Combattiamo da 10 anni con queste realtà». Il divario tra italiani e stranieri? «Sempre più esiguo. Non che questo faccia differenza: chi è in stato di necessità non ha nazionalità». Il profilo dei poveri che si affacciano alla soglia della Caritas: «Persone che hanno perso il posto di lavoro. Magari hanno un mutuo al quale fare fronte e non riescono a ricollocarsi».
, responsabile della Caritas diocesana a Varese, tratteggia una fotografia della povertà in provincia: «Cinquantenni rimasti senza lavoro? Purtroppo accade sempre più spesso».
I numeri parlano chiarissimo: «Dall’inizio della crisi ad oggi (circa 10 anni) il numero delle persone che si rivolge a noi è aumentato del 50%. Circa l’8% degli italiani oggi vive in una condizione di povertà assoluta». Altri dati: l’indagine nel territorio varesino è stata condotta su un campione significativo di 7 centri di ascolto, 1.374 utenti, 6.006 richieste.
Secondo la ricerca gli italiani che hanno fatto ricorso all’assistenza di un centro di ascolto Caritas sono stati nel 2014 il 31,8%; mentre gli stranieri il 67,2%. Benché dunque gli immigrati rappresentino ancora la maggioranza degli unenti dei servizi erogati dalla Caritas, negli anni della crisi il loro numero è andato diminuendo.
Nuovi? Mi pare eccessivo definire una realtà presente da quasi 10 anni una novità. Sì è vero gli italiani sono in aumento. Ma un povero italiano è diverso da un povero straniero? Io sono certo che non sia così. La fame, il bisogno non hanno nazionalità.
Oggi parliamo di persone di 50, 60 anni nella maggior parte dei casi. Persone che hanno perso il posto di lavoro. Troppo vecchie per essere ricollocate, nonostante professionalità formate in decenni di lavoro che non trovano però oggi posto su un mercato che, diciamocelo, privilegia chi costa molto poco anche senza esperienza o figure professionali con specializzazioni tali da essere uniche. Ma sono anche troppo giovani per ambire alla pensione.
La povertà è durissima per chiunque. Ma se prima non hai mai avuto fame, non hai mai avuto freddo, ritrovarti in queste condizioni è devastante.
Anche giovani coppie sui 40 anni. Famiglie monoreddito che all’improvviso si ritrovano senza reddito perchè qualcuno perde il lavoro. Separati che devono versare alimenti. E non riescono ad arrivare a fine mese.
Perchè si vergognano. Ora la questione è complessa. Non si chiede aiuto sino a quando la situazione non è irrecuperabile. Ma quando è irrecuperabile la situazione è difficilissima da risolvere.
Direi non vergognarsi. Farsi avanti quando ancora la situazione è gestibile. Noi possiamo anche dare una mano a trovare un lavoro. È quello che manca sempre. È quello che queste persone cercano molto spesso. Vogliono salvaguardare la loro dignità. E la loro dignità passa attraverso il lavoro. Sono persone che sanno fare. Hanno voglia di fare. Aspettano soltanto un’occasione. Non deve passare il messaggio “vi sosteniamo noi”. Ma il messaggio vi aiutiamo. Anche a trovare un impiego.
La crisi economica. Non c’è dubbio che quando la crisi si è abbattuta sull’Italia, su Varese e oltre i confini nazionali la situazione è peggiorata. La parola chiave è: lavoro. Queste persone cercano soltanto un impiego per risollevarsi. La mancanza di lavoro è di fatto la causa principale delle condizioni che vivono queste persone. In molti casi la rete arriva dalla famiglia: chi non ne ha una è più in difficoltà rispetto agli altri.
Niente. Ad oggi il sostegno è affidato alle associazioni e agli enti locali. A Varese funziona.
Basterebbe che questa tanto sbandierata ripresa arrivi davvero. Per ora sono soltanto numeri e tali restano. Numeri che certo confortano ma che attualmente non hanno qui a Varese un impatto sociale in termini di lavoro. Questo attendiamo: che la ripresa si traduca oggettivamente in posti di lavoro sul territorio. Il lavoro batte la povertà. E queste persone di lavoro hanno voglia e bisogno.