Dunque quella foto di pura gioia esisteva davvero. Quel bambino (dallo sguardo incazzato) con la sua pistola non era un viaggio onirico ma è proprio lì, che spara dritto davanti a sè. Non a quello che non c’è ma proprio a te, che hai tra le mani quel disco.
Solo un anticonvenzionale come Manuel Agnelli poteva scegliere un venerdì 17 per far uscire l’antologia di trent’anni di storia del suo gruppo, gli Afterhours: quattro dischi di demo, vecchie e nuove collaborazioni, live, remastering di pezzi introvabili, chicche da non vedere l’ora.
«Non sempre chi indossa l’abito del cattivo è il vero cattivo» sentenziò una sera Agnelli davanti alle telecamere di X Factor. Ecco, speriamo che adesso la sua esposizione mediatica e l’imponenza del progetto suscitino un po’ di sana curiosità in chi lo guarda ancora solo come il ragazzaccio cresciuto che a cinquant’anni porta i capelli lunghi e facciano finalmente spalancare le orecchie a tutti quanti.
Se è vero, come ha sentenziato ancora Manuel, che «al mondo esistono solo due generi, il rock e il roll», “Foto di pura gioia” ne è una sintesi perfetta e magica. Un viaggio che parte dai primi tre dischi che la band incise in inglese, passando attraverso l’epoca d’oro dell’indie italiano, gli Anni 90 di “Hai paura del buio?”, per arrivare agli Anni Zero delle Ballate per Piccole Iene fino all’ultimo (capo)lavoro, Folfiri o Folfox, la ciliegina della maturità personale ed artistica di Agnelli e soci. Già, i compagni di strada. Quanti. E ognuno a lasciare la sua impronta, il suo segno, il suo graffio.
E se è vero, come è vero, che per uscire su un palco e cantare i cazzi propri in faccia alla gente non si può essere umili, di certo fa specie pensare che Agnelli abbia una fan speciale come Mina. Che con lui ha duettato in quella perla rara di Adesso è Facile e che incise anche da par suo una devastante versione di Dentro Marilyn. Quanti di voi lo sapevano? Perché mentre altri artisti riempiono stadi, campivolo, palazzetti, vantando e millantando pur di gonfiare il proprio ego, c’è chi resta fedele soltanto a se stesso e alla propria musica. Senza sbagliare un colpo. Senza bisogno di fare un casino clamoroso per mascherare la propria pochezza.
No, qui è tutto vero. Tutto autentico. Qui le storie si raccontano partendo dalle fondamenta e non dalle rifiniture meglio riuscite (tranquilli, ci sono anche quelle). L’uomo che intitolò la sua carriera ai Velvet Underground (il nome del gruppo è un omaggio alla canzone After Hours) è cresciuto, e oggi detta la sua legge. L’uomo che desiderava “it could happen to me” oggi può dire di avercela fatta. L’uomo che iniziò a suonare «per disturbare e non per intrattenere» il prossimo 10 aprile butterà giù (finalmente) il Forum di Assago. E intanto da venerdì ci sarà sicuramente qualcosa di bello da (ri)mettersi nelle cuffie. E questo può darci solo tanta gioia. Pura gioia.