L’entusiasmo è ormai un lontano ricordo, la pazienza è finita. Peggio ancora, al Franco Ossola non ci sono quasi più nemmeno delusione, indignazione e rabbia.
C’è solo rassegnazione.
Non è solo questione di cosa accade in campo. O meglio, di cosa non accade: il Varese visto ieri contro il Seregno – una squadra che punta a salvarsi, piena di giovani, spinta da quindici (15) tifosi sperduti in Curva Sud; ma orgogliosa di affrontare un campionato difficile e avversari (sulla carta) molto più forti – farebbe passare la voglia a chiunque.
Incredibile ma vero (per l’attaccamento dimostrato, in casa e in trasferta, in B come in Eccellenza, nei momenti positivi ma soprattutto in quelli negativi), persino ai tifosi del Varese: che ieri erano molti meno rispetto al solito, ma erano infinitamente di più rispetto a quelli che una squadra e una società come queste hanno dimostrato e continuano a dimostrare di meritarsi.
Tifosi che hanno sfidato un vento tremendo e gelido per vedere la seguente partita: 93 minuti di nulla, la loro squadra lunga anche 70 metri, totalmente scollata, senza un’idea né un tentativo degno di essere ricordato.
Volendo essere buoni, se ne possono raccontare tre. Al 18’ Rolando sfonda palla al piede e calcia debole, riuscendo a superare il portiere ma non un difensore, la cui respinta finisce tra i piedi di Zazzi che cerca il secondo palo non inquadrando però il bersaglio. Al 24’ lo stesso Zazzi riceve da Arca, finta il cross, rientra sul destro e disegna una palombella verso il secondo palo che tocca la base del legno e va fuori. Al 76’ Rolando converge e calcia, Bardaro blocca in due tempi.
Stop, basta. Null’altro.
Ai tifosi presenti resta giusto la consolazione di potersi sfogare: la maggior parte fugge al fischio finale, chi rimane urla «Vergogna» o «Andate a lavorare». Ma è nulla rispetto all’intensità sentita nei momenti più duri della passata stagione (per esempio, i fischi e gli insulti di Varese-Inveruno 4-5), quando almeno c’erano ancora passione e speranza.
Il dramma, come anticipato all’inizio, è che tra chi va e chi resta il sentimento è lo stesso: rassegnazione.
Alcuni si chiedono se potranno riavere i soldi dell’abbonamento, tanti sono già certi di trovarsi altro da fare nelle prossime due trasferte (e magari anche il 17 dicembre in casa), diversi sperano addirittura di ricominciare ancora, un’altra volta, da capo.
Tutti si aspettano che qualcosa cambi; ma nessuno (o quasi: restano gli inguaribili ottimisti e gli irriducibili avvocati delle cause perse) ci crede.
Guardato il dito, guardiamo anche la luna.
Le ferite di promesse e sparate sono diventate troppo profonde e dolorose.
Le scuse accampate a più riprese dentro e fuori dal campo sono diventate insopportabili. E le altre scuse, quelle mai arrivate da chi è responsabile di questo scempio (-18 dalla vetta, + 3 sui playout, pubblico umiliato e polverizzato: qualcuno avrà pure deciso qualcosa o non è mai colpa di nessuno?) sono diventate assordanti.
Restano solo due vie: chiudere bottega o fare i seri.
Tra un soffio di vento e l’altro, gli spifferi che corrono (o vengono fatti correre) tra i tifosi raccontano di un (ennesimo) possibile accordo: si dice di una coppia o di una cordata non meglio identificata, il cui ingresso a sostegno di chi c’è già (e resterebbe al suo posto) permetterebbe di mettere una pezza ora (per pagare gli stipendi ai giocatori e magari i debiti più urgenti), anche cercando grano sul mercato invernale (vendendo gli unici giocatori su cui si potrebbe costruire un qualche tipo di futuro) e poi vedere un po’ come va.
Un altro palliativo o, peggio ancora, altre promesse. Di cui la gente del Varese – né i 900 di ieri, né i 2000 della rinascita, né i 1500 dell’anno scorso né i 40 di domenica prossima – non ne può più: dopo i Baraldi e i Taddeo, le due diligence e gli aumenti di capitale, la Serie B e i musei, i soci non soci, le super squadre e i super allenatori sulla carta ma non sul campo, i valzer e i casting di acquisto, la gente è stufa.
Questa gente si merita una squadra vera, che sia anche mediocre ma che almeno dia tutto per la maglia, che giochi a testa alta anche se è in difficoltà, che sia orgogliosa pure se chiamata a salvarsi invece di mirare a obiettivi prestigiosi e luccicanti.
Questa gente si merita acquirenti chiari, che si mostrino e dicano cosa vogliono, che ci mettano la faccia, che si facciano avanti definitivamente o si tirino indietro per sempre.
Questa gente si merita una società e una proprietà che si prendano le loro colpe. Se si dichiarava «vinceremo» e invece bisogna salvarsi, qualcuno deve spiegare il perché, ammettere di aver sbagliato e, di certo, non mettersi a (ri) fare scelte nel futuro, né imminente né a lungo termine. Se nessun acquirente forte (ovvero in grado di mettere le basi per un futuro e non solo di rattoppare il presente) si avvicina, qualcuno deve domandarsi il perché, capire (finalmente) di non raccogliere fiducia – difficile se non impossibile trovarne, dopo tutto l’accaduto dal giugno 2016 in poi – e, anche a dispetto di voglia, desideri e/o ambizioni personali, fare un passo indietro se davvero vuole il meglio per il Varese, i suoi ragazzi e i suoi tifosi.
Basta mettere pezze e tirare a campare. Piuttosto, è meglio chiudere bottega.
Varese-Seregno 0-0
(4-3-1-2): Bizzi; Fratus, Simonetto, Ferri, Arca; Zazzi, Magrin, Battistello (Careccia dal 4’ st); Rolando; Repossi (Lercara dal 9’ st), Molinari (Melesi dal 40’ st). A disposizione: Frigione, Ghidoni, Mauro, Granzotto, Rudi, Bruzzone. All. Iacolino.
(4-3-1-2): Bardaro; Ronchi, Gritti, Ondei, Acquistapace; Cannizzaro, Rossi, Iori; Artaria; Grandi (Capelli dal 18’ st), Piantoni (Calmi dal 4’ st). A disposizione: Carniel, Buccini, Mara, Pribetti, Caon, Castella, D’Errico. All. Andreoletti.
: Virgilio di Trapani (Moroni di Treviglio e Faini di Brescia).
– Spettatori: 900. Ammoniti: Magrin, Zazzi e Ferri (V); Acquistapace (S). Angoli: 8-4; fuorigioco: 1-2; tiri (in porta): 12 (6) – 5 (2); falli: 22-17; recupero: 0’ + 3’.