«Se avessi saputo chi è stato avrei fatica a portarvelo sano e salvo. Perché l’ambiente in cui viveva Lidia era così teso, così arrabbiato, così ostinato che se avessero saputo chi era stato finiva male».
È , confidente spirituale di Gioventù Studentesca sino al 1986, a raccontare il clima instauratosi tra i giovani di Comunione e Liberazione, movimento a cui apparteneva, dopo l’assassinio della ragazza consumatosi 30 anni fa. Don Baroncini chiede al pm e al gip «come saranno usate queste mie parole?».
Parla dell’esasperazione tra i ragazzi, quasi tutti interrogati all’epoca dell’omicidio, per quell’assioma. «Quel teorema in base al quale l’omicidio sarebbe maturato a causa di una repressione sessuale derivante dall’essere cattolici». Un teorema «errato. Che tuttavia portò i sospetti su un giovane sacerdote».
Il religioso, a domanda del pm su una sua dichiarazione comparsa in un’intervista su cosa intendesse con la frase “Gli inquirenti non hanno ancora scoperto tutto”, risponde: «Io volevo dire una sola cosa, a chi ritiene di aver risolto questo caso volevo dire che un prete per ventinove anni è stato accusato di essere lui il responsabile …».
Una posizione alla fine archiviata, gli viene fatto notare. «Fatto salvo archiviare – ha proseguito don Fabio -, serve chiedere scusa a questo prete. Ora, stabilito che tre indizi non fanno una prova, io ho un suggerimento elementare: pensateci su bene perché altrimenti rischiamo …». E qui il sacerdote si ferma. Quasi a suggerire cautela, questa volta, nell’accusare qualcuno, nel caso specifico, oggi a processo davanti alla Corte d’Assise presieduta da con l’accusa di avere ucciso Lidia, già in carcere da quasi un anno quando don Baroncini venne interrogato. Il sacerdote spiega anche di essere convinto che Lidia «fu uccisa da un ragazzo. Fu uccisa da un conoscente». E precisa: «non nel senso di un amico. Da un conoscente, da qualcuno che sapeva dove la ragazza si trovasse quella sera».
A trovare l’amica , ricoverata all’ospedale di Cittiglio in seguito a un incidente stradale. Un conoscente non necessariamente, però, appartenente alla schiera, molto vasta, degli amici di Lidia o a Gioventù Studentesca. Nessun sospetto, però. «Se avessi saputo chi… se avessi avuto dei sospetti li avrei immediatamente riferiti ai carabinieri».
E sulla missiva “In morte di un’amica conclude”: «molti riferimenti religiosi. Certo si riferisce alla morte di Lidia, ma non vidi elementi riconducibili all’omicidio. Pensai fosse stata scritta da qualcuno molto colpito dalla vicenda».