«In questo presente io sono continuamente ricondotta da qualcosa che mi è capitato circa un anno fa, cioè di innamorarmi e il mese scorso io credevo di essermi finalmente liberata da quella pugnalata che mi è capitata a tradimento quando meno me lo aspettavo, credevo di esserne veramente libera perché il vederlo non provocava in me reazioni di nessun tipo e mi sembrava che tutto si fosse pacificamente dissolto, nel tempo poi si sa la lontananza fa la sua parte, insomma potevo starmene tranquilla».
Tuttavia «questo amore ha in sé una grandezza che io non gli ho dato e che in realtà non comprendo neppure, ma vedi se fosse per me ne farei volentieri a meno e se fosse per lui credo che se io scomparissi dalla faccia della terra ne sarebbe sicuramente felice o forse non se ne accorgerebbe nemmeno».
Una lettera dolce e melanconica, una delle principali tre che rientrano nell’inchiesta, quella che , la studentessa varesina di 20 anni assassinata con 29 coltellate nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1987, il cui omicidio è ancora avvolto nel mistero, indirizza nel 1986, un anno prima di essere assassinata, all’allora padre spirituale di Gioventù Studentesca a Varese .
Una missiva di cui al sacerdote è stato chiesto conto nel dicembre scorso in sede di incidente probatorio. L’amore segreto e impossibile di Lidia, viste le modalità e i contorni del delitto (Lidia fu uccisa dai 10 ai 15 minuti dopo aver consumato il suo primo rapporto sessuale) è di fatto elemento d’indagine.
«Un amore mai identificato in 30 anni. E don Baroncini replica al pubblico ministero , che ha condotto l’interrogatorio, asserendo di non aver mai ricevuto la missiva. E aggiungendo di non aver mai parlato con Lidia, giovane intelligente e generosa, di problemi sentimentali. La procura generale ha ipotizzato che l’amore segreto di Lidia fosse , 50 anni di Brebbia, arrestato il 15 gennaio 2016 con l’accusa di aver assassinato l’ex compagna di liceo, con problemi di tossicodipendenza che la giovane potrebbe aver cercato di salvare dalla droga. «Non parlai mai con Lidia di problemi di tossicodipendenza. Scoprii anni dopo che Binda era tossicodipendente», ha spiegato don Baroncini.
Della relazione tra Lidia e Binda, di fatto, ad oggi non è stato trovato alcun riscontro. La missiva indirizzata a don Baroncini, tuttavia, rivela un dettaglio, quando parla della «lontananza» che aiuta, che andrebbe a coincidere con l’infatuazione della giovane per (un’infatuazione, non una relazione), confermata anche da , mamma di Lidia.
Il ragazzo era di qualche anno più grande di Lidia e all’epoca stava completando i propri studi in Belgio. Una lontananza letterale? O una lontananza dei sentimenti? Nella borsa della ragazza, quando il 7 gennaio 1987 il cadavere di Lidia venne ritrovato al Sass Pinì di Cittiglio, fu scoperta un’altra missiva. Anch’essa indirizzata a “un amore mio” irraggiungibile e misterioso.
Da come la vittima scriveva si trattava di una persona reale, non forse di un amore ideale o superiore (un amore verso Dio ad esempio). Un uomo la cui identità è sempre rimasta avvolta nel segreto. Nonostante le lettere fossero state rese pubbliche anche 30 anni dopo, durante la prima indagine, nessuno ha mai rivelato chi fosse quell’uomo per qualche ragione lontanissimo, con il quale Lidia non poteva vivere una relazione. Perché? La chiave del mistero è forse da sempre nascosta nel cuore di Lidia?
Don Baroncini ha parlato in sede di incidente probatorio anche dell’anonimo “In morte di un’amica”, recapitata a casa Macchi il giorno dei funerali di Lidia.
«Ne portai a lungo una sestina nel portafoglio cercando di identificarne la grafia – ha detto don Baroncini che ha insegnato religione al Cairoli sino all’86 – «senza riconoscerne nessuna. Non credo possa averla scritta Binda». Forse un ciellino, ambiente frequentato da Lidia? «È possibile – ha concluso don Baroncini – ma non certo. Il simbolo in fondo alla lettera è riconducibile a Comunione e Liberazione, ma è disegnato al contrario».