Succede che il basket sia lo sport più bello del mondo. Ma anche uno dei più spietati nel colpire dove fa male davvero.
Succede che la definizione dello sport più bello del mondo abbia una postilla nel finale: “…scopo del gioco è che ogni squadra riesca a mandare il pallone nel canestro avversario”.
Succede che quando una squadra, un gruppo di esseri umani prima che di atleti, incontra enormi difficoltà a portare a termine lo scopo di cui sopra (quello che viene prima di ogni altra cosa, prima dell’impegno, prima dell’attitudine difensiva, prima della bravura in qualsiasi altro aspetto del gioco), i singoli che la compongono perdano fiducia in sé stessi. Progressivamente, consumando ogni energia mentale e fisica nell’errore ripetuto.
Succede che questa squadra, questo gruppo di esseri umani prima che di atleti, sia la Openjobmetis Varese. Una squadra che fatica a fare canestro e che viene sistematicamente punita, come ovvio che sia, da questa mancanza. Nonostante brilli in molti altri aspetti del gioco più bello del mondo.
Succede che la partita di Pesaro, con il passare dei minuti, inizi sempre di più ad assomigliare a quella contro Venezia. E poi a quella contro Brescia. E poi a quella contro Avellino. E poi a quella contro Sassari. Punizioni esemplari di una squadra che non riesce a portare a termine lo scopo del gioco: mettere la palla in quel benedetto cesto fornito di retina forata sul fondo.
Succede che gli errori generino insicurezza, insinuandosi nell’anima e nella testa. Perché ormai troppo frequenti, troppo numerosi, troppo gravi. Fiaccando la resistenza psicologica e la concentrazione dei giocatori. E la testa e il cuore sono il motore di tutto. Sempre.
Succede che in Pesaro-Varese il motore della squadra di Attilio Caja, ingrippato da quegli senza soluzione di continuità, si fermi. E che in quei pistoni ormai inermi Varese lasci anche quelle qualità che finora non aveva quasi mai smarrito: l’attenzione, la grinta in difesa, la presenza a rimbalzo, la consapevolezza di dover spendere ogni volta una goccia in più dell’avversario per sopravvivere, eterna condanna di chi di innato ha soprattutto la buona volontà.
Succede che la domenica in riva all’Adriatico si trasformi allora in un mezzo incubo, contro dei padroni di casa non certo baciati dal talento o dalle stigmate dei campioni, ma senza dubbio più bravi a portare a termine lo scopo del gioco più bello del mondo (“mandare il pallone nel canestro avversario”).
Succede che gli di cui sopra diventino 10 in fila, ad ogni tentativo da oltre l’arco. E poi 3 su 20 tentativi, che cambia pressoché nulla. Succede che quel motore ingrippato produca palle perse sciagurate, rimbalzi lasciati agli avversari, attacchi sconsiderati, difese di pietra. Succede che un -7 diventi un -11, poi un -13, poi addirittura un -17. Contro Pesaro. Non Sassari, non Avellino, non Brescia. Contro Pesaro è più grave.
Poi succede che all’improvviso qualcosa cambi. Senza avvisaglie. Cambi quando un allenatore che le ha provate davvero tutte trovi inaspettatamente un quintetto che funziona, zeppo di seconde linee. Avramovic, Cain, Hollis, Tambone: in campo ci sono loro, ma per disperazione. Per disperazione davanti a un Wells indisponente, a un Waller ininfluente, a un Pelle ancora troppo ragazzino ai piani superiori. Ci sono loro, ma è come una scommessa di un giocatore d’azzardo che ha deciso di perdere tutti i suoi soldi.
Succede che i tiri inizino a entrare. Uno dopo l’altro? Sarebbe scrivere troppo. Diciamo con frequenza, come gli errori di prima.
Succede che quelle retine finalmente smosse da un torpore che sembrava eterno rianimino il cuore dei pretoriani dell’Artiglio. Prima quelli in campo nel momento del cambiamento, poi tutti gli altri. Sì: anche Wells e (parzialmente) Waller.
Succede che gli diventino . E che con i tornino anche la difesa, un pizzico di attenzione, una sporta di grinta.
Succede che Varese ritorni Varese, una squadra con la consapevolezza di dover spendere sempre una goccia in più dell’avversario per sopravvivere, eterna condanna di chi di innato ha soprattutto la buona volontà.
Succede che un -17 diventi un -13, poi un -10, poi ancora un -6, infine un pareggio. Firmato da quello che per 30 minuti era stato il peggiore in campo, uno straniero da rispedire a casa sua direttamente dal pullman del ritorno, se solo qui non si fosse sempre con le pezze al… (e scusate l’uso del francese). Un fantasma dell’oltretomba che diventa un signore vivo, vegeto e nobile, capace di portare a termine lo scopo del gioco con tecnica, audacia. Intelligenza. Classe.
Succede che una partita già persa diventi una partita da vincere.
Succede che se vuoi vincere una partita, però, oltre allo scopo principale del gioco tu debba stare attento anche a tutti gli altri particolari: non lasciare i rimbalzi offensivi agli avversari, per fare un esempio; non perdere palloni stupidi, per farne un altro; segnare i canestri che possono risultare decisivi, per farne un terzo.
Succede che Pesaro conquisti troppi rimbalzi d’attacco per non far male alle ambizioni dei suoi opposti, che Varese butti via qualche pallone in modo stupido e che non segni due canestri fondamentali.
Succede che tutto debba cambiare di nuovo. E invece non cambia, perché nonostante ciò che abbiamo appena scritto la Openjobmetis – tornata consona al suo dna – voglia davvero conquistare il match che ha recuperato dalla spazzatura.
Succede che a 30 secondi dalla fine si sia ancora pari. 69-69
Succede che se tocchi la palla e non la mano di un avversario, per nessuna ragione un arbitro ti debba fischiare fallo.
Succede che a volte un arbitro il fallo te lo fischi lo stesso.
Succede che a volte nemmeno un’ingiustizia spenga la voglia di un miracolo.
Succede che per spegnere la voglia di un miracolo ci sia bisogno di un altro miracolo.
Succede che Dallas Moore lo compia, a un secondo e mezzo, dalla sirena finale, inventandosi un canestro insensato. Improbabile. Irripetibile. Irrispettoso delle leggi fisiche e soprattutto di una difesa praticamente perfetta. Una difesa da Varese.
Succede che Pesaro vinca con questa prodezza.
Succede che il basket sia lo sport più bello del mondo. Ma anche uno dei più spietati nel colpire dove fa male davvero.
Succede che nella vita, anche nel basket quindi, nulla sia tuttavia solo estemporaneità. E che ogni cosa vada analizzata a dovere, oltre il singolo episodio, oltre la bravura degli avversari, oltre la punizione del destino,
Succede che, a volte, non si abbia voglia di analizzare alcunché.
Moore 22 (1-3, 6-12), Bertone 6 (3-7, 0-3), Ceron 8 (1-2, 2-4), Omogbo 14 (3-5, 1-6), Mika 11 (3-8); Ancellotti 3 (1-3, 0-1), Kuksiks 6 (2-7 da 3), Monaldi 4 (2-3, 0-1). Ne: Crescenzi, Bocconcelli, Serpilli, Moretti. All. Leka.
Wells 13 (6-10, 0-2), Waller 7 (2-6, 1-7), Okoye 22 (3-7, 4-9), Ferrero 5 (2-4, 0-2), Pelle 4 (1-2); Avramovic 9 (2-5, 1-2), Natali, Tambone 4 (2-4), Cain, Hollis 7 (2-3, 1-4). Ne: Bergamaschi, Seck. All. Caja.
Weidmann, Paglialunga, Boninsegna
Da 2: P 14-34, V 20-41. Da 3: 11-34, V 7-26. Tl: P 13-18, V 10-11. Rimbalzi: P 39 (15 off., Mika 12), V 38 (12 off., Okoye 8). Assist: P 9 (Bertone 4), V 8 (Wells 4). Perse: P 7 (Moore 2), V 9 (Ferrero, Avramovic 2). Recuperate: P 6 (6 con 1), V 4 (4 con 1). Usc. 5 falli: Okoye.