– Gestione dei richiedenti asilo, i sindaci non si intromettano. Si infiamma subito la polemica, dopo che il Tar della Lombardia ha accolto la richiesta di sospensiva, fatta da Prefettura e Ministero dell’Interno, contro l’ordinanza del sindaco di Gallarate Andrea Cassani, che imponeva alle società che gestiscono i centri di accoglienza aggiornamenti periodici sulle presenze e sulle condizioni di salute dei migranti presenti nelle loro strutture. «Il messaggio del Tar è chiaro – commenta , consigliere regionale della Lega Nord – un invito al sindaco Cassani, che aveva emesso un’ordinanza di buon senso, motivata da criticità documentate, a non impicciarsi della (mala)gestione dei sedicenti profughi».
L’ordinanza risale al 18 agosto scorso: il Comune di Gallarate imponeva ai gestori dei centri di accoglienza di comunicare ogni 15 giorni il numero dei richiedenti asilo ospitati in ogni singolo nucleo, ma anche di conoscere i contratti di locazione degli edifici e la partecipazione ai bandi della Prefettura per la gestione delle strutture di accoglienza. Impugnata dalla Prefettura e dal Ministero, è stata sospesa dal Tar, in attesa del giudizio di merito, che verrà trattato nell’udienza fissata per il prossimo 23 maggio.
«La vicenda che vede coinvolto il sindaco – le dure parole di Emanuele Monti, consigliere regionale della Lega Nord sulla sospensione dell’ordinanza gallaratese – è uno specchio che riflette a tinte fosche la realtà in cui sono costretti ad operare i bravi amministratori locali, trattati dallo Stato centrale alla stregua di passacarte, costretti a subire un modus operandi dove il rispetto del territorio e delle comunità che lo abitano non esistono».
La stessa ordinanza era stata emessa in diversi altri Comuni a guida leghista, su input del segretario provinciale del Carroccio , nel momento di massima emergenza in tema di nuovi arrivi di migranti sbarcati sulle coste del Sud, anche alla luce del fatto che giravano insistentemente voci di cooperative interessate ad affittare capannoni a prezzi fuori mercato con la prospettiva di trasformarli in centri di accoglienza. Rientrato il momento più “caldo” dell’emergenza, nei Comuni più piccoli,
l’ordinanza è stata ritirata, mentre strategicamente Gallarate l’ha mantenuta, con l’obiettivo di tenere il punto rispetto all’esigenza, sentita dai sindaci del territorio, di un maggior controllo sul tema dell’accoglienza dei richiedenti asilo. Anche perché gli episodi preoccupanti, nel corso degli ultimi mesi, non sono stati pochi: dalla “marcia” dei migranti ospitati nel centro di via dei Mille di Busto Arsizio fino alla stazione di Varese, alle proteste in strada degli ospiti del centro gestito da KB a Gallarate in via Ranchet, senza contare i casi di intemperanze che si sono registrati, dal “Kabobo” di Somma che girava in piena notte a picconare, ai migranti arrestati per spaccio e violenze, tra Gallarate e Busto Arsizio. Perché è vero che con il ministro dell’interno Minniti e l’accordo con la Libia gli arrivi si sono diradati, ma la situazione è ancora potenzialmente esplosiva, se pensiamo che nelle strutture sparse per la provincia ci sono migranti che risiedono qui ormai da decine di mesi, nella maggiorparte dei casi senza un futuro fuori dai centri.
«Imporre alle società che gestiscono i richiedenti asilo, lautamente ricompensate con soldi pubblici per lo “sforzo” – fa notare il consigliere regionale Emanuele Monti – di dare al Comune aggiornamenti periodici sulle presenze e le condizioni di salute, era una decisione di buon senso, motivata da una serie di criticità documentate circa le condizioni igieniche e strutturali dei luoghi deputati alla cosiddetta accoglienza. Purtroppo però Prefettura e Ministero dell’Interno hanno fatto ricorso contro il Comune, reo di esercitare il proprio sacrosanto diritto di vigilanza nell’interesse collettivo e così il Tar, in attesa del giudizio, ha bloccato l’ordinanza. La misura è colma da un pezzo e la situazione necessita di un urgente cambio di passo, possibile solo dall’alto e che consenta ai sindaci di fare il loro mestiere, con la dignità e il rispetto che sarebbe dovuto a chi riceve una legittimazione democratica».