Prendere dei rischi una volta era la benzina di chi come mestiere nella vita voleva fare il musicista. Qualcuno lo ha pure scritto, qualcuno lo ha pure cantato. Qualcuno, però, lo ha pure dimenticato. E come non scusarlo quando ci sono industrie che creano artisti come automobili in serie. Sistemi che plasmano macchine da soldi precise e perfette. A patto, chiaramente, che vengano rispettate quelle regole che il sistema centrale impone: fai così e puoi essere “in” – non è detto, si vedrà -, fai cosà e sei sicuramente “out”. Basta buttare l’occhio alle classifiche o ai famosi dischi di platino (“riconoscimenti” che non determinano cosa è “musica” ma solo ciò che vende e che quindi tira di più): ciò che piace è un prodotto dove il rischio, quello sano, è ridotto al minimo. È il sistema. Funziona? Sì. Piace? Beh, vende…
E allora ecco che quello che spunta dalla massa, che prende il rischio, lo guarda, lo accarezza e lo butta tutto dentro al proprio progetto musicale, può diventare due cose: un povero signor nessuno o un folle signor qualcuno. Ma la follia, quella bella, è il fuoco del successo. E se, come diceva un altro “qualcuno”, la follia è come la gravità e basta solo una piccola spinta (per spiccare il volo), qui siamo sulla strada giusta.
Tante parole per dire che “Raw”, il nuovo album di in collaborazione con gli e pubblicato lo scorso primo dicembre, ha proprio quella benzina per correre veloce, per volare in alto. Perché ha voglia di rischiare, di fare qualcosa di diverso, di andare oltre i limiti, di guardare oltre il muretto e scoprire cosa c’è. Perché “Raw” osa. «Vogliamo fare qualcosa con cui non possiamo prevedere la reazione del pubblico» spiega Omake, al secolo .
Bene, e dove sta il rischio? Omake è come uno sciatore, fa lo slalom tra cantautorato e hip hop; gli Shune sono un duo di musica elettronica proveniente da ambienti alternative rock e crossover con alle spalle sonorità hip hop e chill out; “Raw” è un insieme di dodici brani in inglese dove l’elettronica rarefatta si contorce con chitarre elettriche, dove gli autotune si alternano a produzioni curate nel dettaglio e dove il sound ha un gusto d’oltreoceano con il rap contemporaneo che gioca con il moderno cantautorato americano più sofferto e oscuro.
Eccolo, quindi, l’azzardo. La fusione di elementi che potrebbero fare a pugni e che invece vanno a braccetto, un album in inglese fatto da ragazzi italiani e immesso nel tritacarne del mercato del bel Paese. «Un italiano che canta in inglese lo fa sapendo che l’audience sarà più ristretta – spiega Francesco – Si sa che il pubblico si affeziona di più ad una canzone se il testo lo si capisce subito. Ma in Italia quelli che osano sono pochi e questo spesso taglia le gambe ai sogni di molti, perché se ciò che vuoi e ti piace non risponde a certi requisiti sai che la strada sarà più in salita e allora ti fermi. Noi abbiamo scelto di osare e di correre con ciò che ci piace».
Il rischio paga? Sicuramente appaga. Perché Omake e gli Shune con “Raw” hanno costruito ciò che volevano, ovvero un album «molto “urban”, sia per i suoni, dall’elettronica all’hip hop, sia anche per il concetto di “urban” in quanto urbano. Per me – continua Omake – questo è il primo lavoro scritto a Milano e credo si senta cosa significa per un ragazzo della campagna toscana vivere nella metropoli. Nell’album cerchiamo di osare nei suoni e nelle strutture delle canzone. Abbiamo voluto fondere insieme l’aspetto melodico con quello più elettronico e con quelli urban e della black music e ce l’abbiamo fatta. So che un po’ per inglese e per la commistione musicale l’aspetto testuale passa forse in secondo piano. Ma è un piccolo prezzo da pagare per fare ciò che si vuole». Sbam.
Dando un occhio ai concerti, alle date in programma, al tour a cui Omake e gli Shune stanno già pensando, sembra di capire che l’osare paghi anche. Qualcosa è decollato, insomma. «Il disco sta andando bene, venerdì abbiamo fatto il nostro primo concerto, a Pisa, e la risposta è stata ottima e positiva. Poi abbiamo qualcosa in ballo con un grande festival europeo alla cui direzione artistica è piaciuto il nostro sound. In moltissimi però ci han detto: “ragazzi, il vostro sound è qualcosa che in italia mancava e che finalmente è arrivato”. E allora sì, cavolo, che osiamo».
Com’era? Basta solo una piccola spinta…