– Bimbo nato morto dopo che la madre era stata rimandata a casa dal pronto soccorso quattro giorni prima, nonostante lamentasse forti dolori pelvici e addominali e perdite di liquido amniotico: a processo il medico che non ricoverò la donna e non la sottopose ad ulteriori esami, dimettendola. L’accusa formulata dalla procura è di omicidio colposo.
Ieri in aula ha testimoniato il perito di parte civile: «Il tracciato della paziente quando venne visitata era anomalo. Avrebbe meritato degli approfondimenti. Se una patologia simile fosse stata riconosciuta, in un normale ospedale, il piccolo si sarebbe potuto salvare. A casa, senza mezzi, quanto accaduto sarebbe stato letale per qualunque bambino».
Il professionista ha rigettato ogni accusa, sicuro di dimostrare in sede di dibattimento l’infondatezza del capo di imputazione: agì in modo adeguato alla situazione. I fatti risalgono all’aprile 2015. Precisamente al 7 aprile, giorno in cui una giovane donna di 25 anni, incinta alla trentesima settimana, arriva al pronto soccorso dell’ospedale di Cittiglio. La donna lamenta dei forti dolori addominali e spiega al medico che l’ha presa in carico di avere avuto anche delle perdite di liquido amniotico.
La giovane viene rapidamente visitata, poi sottoposta a cardiotocografia, quindi dimessa senza ulteriori indagini. Quattro giorni dopo la stessa donna tornerà all’ospedale di Cittiglio: è l’11 aprile del 2015 quando il suo bambino nasce morto.
I genitori del piccolo sporgono denuncia. Il pubblico ministero ordina una perizia (di parte) il cui esito indica negligenza da parte del medico che quel 7 aprile ebbe in cura la madre al pronto soccorso di Cittiglio. Secondo il perito già solo il fatto che la gravidanza fosse arrivata alla trentesima settimana avrebbe dovuto spingere il medico ad un ricovero immediato e ad approfonditi esami.
Un feto di sei mesi e mezzo è di fatto un bambino che, oggi, può nascere prematuro e sopravvivere. È proprio in virtù di questa possibilità che al medico sarebbe corso l’obbligo di un ricovero «al fine di tutelare al meglio il feto».Secondo la perizia il medico valutò in modo errato l’esito della cardiotocografia. Sbagliò la diagnosi, in sintesi secondo l’accusa. Si torna in aula il 25 marzo.