Un caso tragico. Sul quale non può calare il silenzio. Anzi, sul quale la voce dei cittadini e delle istituzioni deve farsi sentire. È questo il messaggio chiarissimo, lanciato dalla senatrice del Pd, , che ha presentato un intervento parlamentare al ministro della Giustizia, sul brutale omicidio della trentacinquenne , uccisa il 2 febbraio 2007 con 25 coltellate. Tutto nasce dal fatto che tra pochi mesi il colpevole dell’efferato omicidio uscirà di prigione.
«L’omicidio della Monti – scrive la senatrice D’Adda – come risulta anche dagli atti del processo, è un omicidio di rara ferocia e di violenza inaudita così come si evince anche dall’autopsia da cui risulta che i colpi sono stati inferti al solo scopo di uccidere». E «l’omicida al processo ha scelto la formula del rito abbreviato, è stato riconosciuto seminfermo di mente e condannato a 14 anni di carcere e a 3 di manicomio criminale – prosegue D’Adda – Il giudice nella condanna ha definito il Doto “un individuo pericoloso e in grado di agire ancora”».
E quindi il punto della questione: «Tra pochi mesi, a 10 anni dall’omicidio, dopo 4 anni di carcere e sei di OPG (ospedale psichiatrico giudiziario), usufruendo di una serie di sconti di pena, sarà di nuovo libero». Una notizia che «sconvolge e preoccupa tutti, in particolare la famiglia di Tamara Monti, che da anni si batte affinché non vi siano più persone vittime di crimini così violenti».
Sempre nel documento indirizzato al ministro, D’Adda spiega che «l’omicida, un disoccupato di trentacinque anni e suo vicino di casa, ha dichiarato di aver compiuto tale delitto, perché infastidito dal continuo abbaiare dei cani della Monti. La motivazione di tale terribile gesto resa da Doto non può a parere dell’interrogante essere accettata, in quanto la Monti e il suo compagno erano in procinto di lasciare l’abitazione di via Po per trasferirsi in una nuova a San Clemente».
D’Adda sottolinea che «conoscevo già il caso e ho letto sul vostro giornale (in un articolo scritto dal direttore , che ha intervistato i familiari della vittima, ndr). Mi sono subito attivata, ponendo al ministro delle richieste specifiche. Non sono giustizialista, ma ci vuole un equilibrio ed è un dato di fatto che i femminicidi vedano delle pene di durata molto breve. In particolare, poi, ho chiesto di sapere se sia stato fatto un adeguato percorso riabilitativo dell’autore dell’omicidio».
E la domanda che pone infine al ministro della Giustizia: «Se non ritenga che la liberazione di un criminale di siffatta portata sia inaccettabile, non solo perché espone a seri rischi la sicurezza dei cittadini, ma anche perché lascerebbe passare un messaggio errato nell’opinione pubblica, considerata la non congruenza della pena effettivamente scontata rispetto all’atto commesso». E quindi «se si stia attivando affinché venga garantito l’indennizzo delle vittime di qualsiasi reato intenzionale violento, stante la mancata adeguatezza della legge 7 luglio 2016 n. 122».
La senatrice, che è capogruppo in Commissione Femminicidio, sottolinea che «è necessario arrivare a garantire le giuste pene e soprattutto a risolvere un problema fondamentale per i casi di femminicidio, che vedono, secondo le statistiche fatte, una recidiva maggiore rispetto ad altri crimini».
I familiari della vittima tornano a parlare. «Sono passati dieci anni dall’omicidio, e non è mai arrivato un segno di pentimento né dall’assassino, né dai suoi legali. Questo è l’aspetto che più lascia perplessi», ha dichiarato , cugino di Tamara Monti. Dopo 4 anni in carcere e 6 in OPG (ospedale psichiatrico giudiziario), grazie ad una serie di sconti di pena, riconquisterà a breve la libertà. «Questa persona secondo me è pericolosa – ha continuato Livio Moiana – e con la libertà temo che potrebbe portare il pericolo dove vuole, una potenziale minaccia per chi se lo ritroverà come vicino di casa. Le mie parole non sono dettate dal risentimento, ma rappresentano l’ennesimo campanello d’allarme, affinché si garantisca la massima sicurezza attraverso la prevenzione».
Quella di Livio Moiana è una dura battaglia che sta portando avanti con tenacia e determinazione, nonostante diverse porte in faccia ricevute dallo Stato e dalla giustizia italiana: «Non mi arrendo. Ci tengo a ringraziare la senatrice Erica D’Adda e le numerosissime persone che mi hanno sostenuto con i loro messaggi. Ritornando al caso di mia cugina, penso che una buona riabilitazione avrebbe dovuto portare ad un segno di ravvedimento, perlomeno dal punto di vista umano, in caso contrario il percorso riabilitativo ha fallito. Come si fa a sostenere che l’assassino è guarito se non dimostra pentimento alcuno».
Tra pochi mesi l’omicida potrebbe uscire dal carcere, ma nonostante le tante delusioni raccolte dal sistema giuridico italiano, Livio Moiana ha dichiarato di avere ancora fiducia nella giustizia, «mi auguro che questa volta sia diverso, perché, se vogliamo che il paese cambi, questa è un’occasione da cogliere al balzo, per lanciare un segnale forte da parte dello Stato».