– E sciopero è stato. La Filcam nei giorni scorsi aveva annunciato una mobilitazione del personale per protestare contro il mancato rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro da parte di Federdistribuzione. Così, per l’intero turno, ovvero dalla mezzanotte di giovedì 21 alla mezzanotte di venerdì 22, i lavoratori iscritti alla sigla sindacale hanno incrociato le braccia.
Ma non solo, dalle 10 alle 12 di ieri mattina è stato organizzato un presidio all’esterno del Carrefour di viale Milano al quale hanno partecipato una cinquantina di iscritti “armati” di bandiere e fischietti.
«Non è possibile che ad oggi, dopo quattro anni, non è ancora stato siglato un contratto – afferma segretario di Filcam Varese – Per questo siamo qui oggi, per far sentire la nostra voce e far capire all’azienda la situazione di disagio che dobbiamo affrontare quotidianamente».
Oltre al picchetto all’esterno dell’ipermercato, anche all’interno molti degli assunti, quasi il 90% secondo gli organizzatori, hanno deciso di prendere parte alla 24ore di stop. E, tra le corsie del punto vendita, non è di certo passata inosservata la chiusura, con il conseguente non rifornimento della merce esposta, di alcuni reparti come la pescheria, il dls (i prodotti freschi), il pgc (lo scatolame) e la panetteria (il pane non è stato prodotto in loco ma è stato ordinato da un fornitore esterno) e la presenza di un solo responsabile nel reparto ortofrutta.
Inoltre, come prevedibile, l’assenza del personale ha causato anche code alle casse tanto che alcuni clienti hanno deciso di abbandonare i carrelli contenenti la propria spesa in segno di solidarietà con gli scioperanti.
Un altro tema scottante è quello della flessibilità e, di conseguenza, anche dei turni di lavoro. «Il termine corretto è flessibilità esasperata – sottolinea il segretario Filcam Cgil – nella Grande Distribuzione Organizzata, ed in particolare in Carrefour, la situazione sotto certi punti di vista è insostenibile».
Il riferimento è ad alcune richieste che vengono fatte ai dipendenti come le aperture domenicali continue, i demansionamenti unilaterali (cioè decisi solo dall’azienda) e le pressioni psicologiche a cui vengono sottoposti i dipendenti, soprattutto i neo-assunti, se non accettano il turno la domenicale e festivo. «I lavoratori sono aperti alla flessibilità – precisa Muratore – ma deve essere concordata, come previsto anche dal contratto, e per questo ci deve essere un coinvolgimento dei sindacati e delle Rsu. Se non si percorre questa strada, ci si trova davanti ad una imposizione».