Ce l’ho messa tutta, ci ho creduto fino all’ultimo, ho dato fondo ad ogni mia risorsa.
Il dato di fatto però è che ho fallito e non voglio, per nessuna ragione, nascondermi dietro inutili e vigliacche giustificazioni.
La responsabilità della chiusura de “La Provincia di Varese” è solo mia.
In tanti che hanno creduto in me e nel progetto editoriale da domani resteranno senza lavoro. Questo fardello rimarrà indelebile nel mio cuore.
L’angoscia per aver deluso i lettori ed i miei ragazzi non potrà mai essere mitigata da niente e nessuno.
Ho visto nei loro occhi,
più che la preoccupazione, la disperazione per la fine de “La Provincia”.
Sono fermamente convinto che la mancanza di una seconda voce sul territorio si farà sentire. Il rimpianto non sarò solo nostro.
Molti sicuramente godranno per la nostra chiusura ma molti di più ne sentiranno la mancanza.
In questo 15 mesi abbiamo cercato di raccontare e scrivere del territorio, di dare voce a chiunque la chiedesse. Non abbiamo mai e dico mai censurato o parteggiato per alcuni a discapito di altri.
La dignità e l’amore con cui abbiamo, fino alla fine, svolto il nostro lavoro ed il nostro dovere sarà forse un soffio nell’universo ma è stata una tempesta per i nostri cuori.
Quando una professione rappresenta un sogno – covato nell’anima durante gli anni in cui il futuro pareva un foglio bianco e tu un pittore con in mano una tavolozza dagli infiniti colori, poi ricacciato nel gargarozzo per dimenticarlo, infine realizzato quando pure la speranza appariva ingannevole come un miraggio – il mondo che l’accoglie e ti accoglie non può che diventare speciale. Sogno anch’esso, quotidiano e vissuto a occhi aperti. Sogno infinito, senza risvegli, nemmeno nel giorno in cui un fastidioso trillo avvisa bruscamente che è ora di destarsi dal letto, nemmeno quando sudare sulle pagine di un giornale cartaceo già morto da tempo obbliga a visitare la sua “camera ardente” per ore e ore, in un gioco perverso che cerca un senso che non esiste più.
È proprio per questo sogno ancora vivo che l’addio a La Provincia di Varese non sarà guastato dalle lacrime: al loro posto solo un mare di grazie. A La Provincia stessa, orgoglio fatto di inchiostro stampato, lotta quotidiana umana e professionale, sintesi di menti e soffi interiori, amore cui dedicare ogni goccia del proprio sudore e della propria, atavica voglia di riscatto. Ai colleghi, quelli di una redazione diventata famiglia (perché solo una famiglia, con tutte le sue contraddizioni, sa affrontare certe salite), e quelli fuori da essa, alcuni trasformatisi in amici che rimarranno. Ai lettori, fine ultimo di ogni riga, perenne preoccupazione di essere all’altezza, gioia pura in ogni complimento ricevuto, consapevolezza in ogni critica. Alla Pallacanestro Varese, oggetto primario dell’impegno professionale del sottoscritto, 20 anni di tifo innamorato che hanno dovuto mutarsi – non senza conflitti interiori ad ogni passo consumato dentro la cattedrale di Masnago – in critica e dovere di cronaca.
E a mio padre. Perché grazie a questa meravigliosa creatura chiamata La Provincia di Varese l’ho visto tornare a sorridere per me.
Abbiamo perso la battaglia. Ma la guerra no. Perché siamo ancora qui, tutti in piedi, con la testa alta e la schiena diritta. Siamo qui con la coscienza a posto, fieri e orgogliosi dell’impegno che ci abbiamo messo fino all’ultimo giorno, pronti a sacrificare tutto per far uscire ogni singola pagina di questo giornale. Orgogliosi di avere dato voce a voi cittadini, di avere espresso le vostre e le nostre opinioni. Fieri di non avere piegato la schiena nei momenti difficili: quando sarebbe stato più facile inginocchiarsi, noi siamo rimasti in piedi. Fieri degli insulti che abbiamo ricevuto per aver assunto, quando il senso di giustizia e di dignità dell’essere umano ce lo imponeva, posizioni scomode. E il senso del dovere, un concetto ormai quasi bandito dal linguaggio e dalla pratica di un mondo che si sta affossando su un perbenismo e un buonismo autodistruttivi.
Il senso del dovere appartiene a colui che non si nasconde, che va avanti anche e soprattutto nei momenti di difficoltà e che vive e lavora non solo per se stesso, ma con l’intento di migliorare la società.
Di essere al servizio dei propri concittadini, dei propri compatrioti (altra parola bandita dal perbenismo).
Ed è per questo che ho scelto di scrivere, ho scelto di mettere la mia penna e la mia faccia al servizio della comunità nella quale sono nato, cresciuto, nella quale vivo. Questo senso del dovere mi scorre nelle vene, perché così sono stato educato dai miei genitori, Laura e Fausto, con questi valori stato cresciuto nella mia famiglia insieme a mia sorella. Perché se ad oggi, nella molteplicità dei difetti che, come tutti e forse più degli altri, mi accompagnano, ho fatto qualcosa di buono con la mia professione, non ringraziate me, ma ringraziate la mia famiglia. E se ho avuto modo di raggiungere piena libertà di scrivere e combattere ringraziate anche il direttore Francesco Caielli, tutti i miei colleghi e l’editore Piero Galparoli, senza i quali ciò non sarebbe stato possibile.
Noi siamo le nostre radici. Non dimenticatelo mai.
Partiamo dall’amore. Perché è ciò di cui La Provincia di Varese si è circondata, ciò che ha insegnato, che ha saputo trasmettere a tutti i suoi lettori, è ciò che è riuscita a tatuare sulla pelle e nell’anima di chi scrive. Amore, dunque. L’amore per questo mestiere, accanto al quale potrei declinare qualunque tipo di superlativo ma a cui ora, oggi, un anno e mezzo dopo, quattrocentonove bellissimi giorni dopo, posso solo affiancare cinque semplici lettere: “il mio”. La Provincia mi ha messo sullo stesso binario di giornalisti pazzeschi che adoro, stimo e invidio e che oggi considero amici, anzi fratelli: perché solo chi si butta nel fuoco con te per amore di un sogno, di un’idea, di un progetto seppur impossibile e difficile, è degno di tale nome. E noi, amici miei, l’abbiamo fatto, e lo faremo, insieme.
La Provincia di Varese è gratitudine. Per gli articoli di cronaca nera neanche mai pensati prima d’ora, per gli editoriali dopo gli attentati terroristici a Manchester, per i commenti per il nostro Campo dei Fiori, per The Wall, per le pagine, per i titoli, per ogni infinito, bellissimo, elettrizzante, intimo ma incasinato, sudato, stressante ma mai odiato minuto passato con La Provincia. Perchè quando un bel giorno tornerò a bussare alle porte del futuro e mi chiederanno “chi è”, non esiterò a rispondere “un giornalista”. Per chi questo lavoro sogna di farlo da sempre – sempre -, per chi sogna la redazione di un giornale, le scrivanie, i computer, i redattori, l’odore della carta stampata, l’inchiostro che ti sporca le mani, dire addio alla propria Eldorado è un furto milionario. Ma chiudendomi quella porta alle spalle, io, oggi, sono più ricco.
E quindi chiudiamo con la speranza. La stessa che ora pervade il mio cuore, quello di chi lotta e combatte e si getta nel fango per amore, il cuore di chi ha oltrepassato la linea di confine che divide il mondo dai sognatori. Noi de La Provincia di Varese non ce ne andremo docili. Troveremo una soluzione, l’abbiamo sempre fatto.
La Provincia di Varese chiuderà. Quel che manca a questa fredda informazione è la parte di anima e cuore pulsante che ha caratterizzato il quotidiano in questi anni. Fatta da persone per le persone. Soggetti che si sono dedicati alla causa, mettendo in gioco molto più della semplice esperienza professionale. Vita e passione questo è quel che è stato messo negli anni sui piatti della bilancia.
Prima di intraprendere questo viaggio, a causa di alcune vicende personali, ero certo che non avrei mai lavorato in un giornale. Tranne che per un caso. Un unico caso: quel piccolo quotidiano locale che affrontava a testa alta le battaglie che gli si paravano davanti. Evidentemente la Fortuna doveva essere nelle vicinanze quando espressi tale desiderio. Da allora sono passati poco più di due anni. Un tempo limitato, ma sufficiente a stravolgere la mia vita è farmi amare questo lavoro. Farmi amare questo giornale.
Vivere un quotidiano, soprattutto se piccolo è un po’ come sentirsi a bordo di un vascello (a mio giudizio splendido, ndr), gomito a gomito con quelli che non sono solo tuoi colleghi, ma veri e propri compagni di viaggio. A volte eleganti commodori altre volte coraggiosi pirati capaci di intraprendere rotte che altri avrebbero potuto definire azzardate ma che poi si sono rivelate essere vincenti. Sulla nave de La Provincia di Varese abbiamo riso, ci siamo arrabbiati, abbiamo pianto (sì, quando si vive intensamente qualcosa è normale che le lacrime possano rigare i volti, ndr), abbiamo lottato, riparato la chiglia quando serviva, ma soprattutto abbiamo tenuto saldo il timone anche nei momenti in cui le onde si ingrossavano e la tempesta urlava tra le fessure delle vere.
Un veliero che ha incantato negli anni tutti quelli che hanno avuto la possibilità di vederlo solcare i mari di notizie.
Non mi rimane che ringraziare TUTTO l’equipaggio (sia interno, sia esterno) de La Provincia di Varese che in questi anni è diventata la mia seconda famiglia (è molto molto spesso anche la prima, nb). E riadattando la celebre frase del film Titanic «Grazie a tutti, è stato un onore suonare con voi».
Questo è l’ultimo pezzo che girerò a sistema. È difficile. Difficilissimo. Premere invio è un gesto meccanico. Compiuto migliaia di volte nell’arco degli ultimi 12 anni. Oggi no. Non è semplice ne tanto meno meccanico. Perchè fatto salvo per una (per fortuna breve) parentesi durata 5 mesi gli ultimi 12 anni sono stati professionalmente parlando i più belli e appaganti della mia vita. Il pensiero può sembrare melodrammatico ma la sensazione è che schiacciare il tasto metta un punto a tutto quello che sono stata ma soprattutto siamo stati per così tanto tempo. Tanta vita, tante vite, tutte sul campo sempre. Tanti compagni di un viaggio lungo e bellissimo che ci ha visti capaci di attraversare i marosi. Sempre. Anche adesso. Anche oggi. Il coraggio. L’impegno. L’onestà verso i lettori. L’amore per questo lavoro e per questo giornale. L’essere una famiglia con tutti gli annessi e i connessi che questo comporta. Sono sempre stati questi i nostri tratti distintivi. Sono le caratteristiche che hanno reso questo giornale unico. Nell’ottobre 2005 mi chiedevo cosa sarebbe successo da quel punto in avanti. Oggi lo so. E proprio perchè lo so e l’ho vissuto lo rifarei. Senza cambiare niente, nemmeno i momenti brutti che, si dice, formino il carattere. Perchè anche quelli sono una parte importante di una storia meravigliosa. La nostra. Davanti al pulsante invio in questo momento ho una sola certezza: non rimpiango niente. Perchè è stato un privilegio. E per questo ho una sola parola da dire: grazie.
Avete presente la sensazione che si prova, dopo una lunga e faticosa giornata, nel tornare a casa? Quando aprendo la porta vi assale quel senso di armonia e di sicurezza che subito vi fa sentire sereni. Questo è ciò che tutte le mattine provavo entrando nella redazione del nostro giornale.
Sono stata una privilegiata, perché ho vissuto in un ambiente di lavoro sano, bello, leale e che mi ha dato soddisfazioni e possibilità di crescita.
Non è facile spiegarvi questo legame, dall’esterno sembra solo un posto di lavoro come tantri, ma dietro quelle pagine si cela un mondo fatto di persone e di passione. Un mondo magico che rimarrà “stampato”, per sempre, nel mio cuore.
Difficile racchiudere in poche righe quello che per noi è stata “La Provincia di Varese”. Molto più di un semplice posto di lavoro. Una famiglia, tanti amici e tante persone che difficilmente riusciremo a dimenticare.
Caratteri diversi, mai simili. Ognuno con la sua personalità e professionalità. Tante teste diverse che, a modo loro, hanno sempre creduto in quello che La Provincia è stata in questi anni.
Un’esperienza di vita che ci porteremo sempre dentro. Tanti progetti, tante idee e tanta voglia di mettersi sempre in gioco che, giorno dopo giorno, ci hanno fatto crescere personalmente ma soprattutto professionalmente.
Quello che resta, oggi, è il ricordo dei bei momenti passate insieme. Quello che resta è la consapevolezza che, chiunque sia passato da qui, è riuscito, nel tempo a dare sempre il massimo e a crederci sempre, fino all’ultimo giorno. Come noi.
Vi vogliamo bene e grazie.
Anche la “Salmo” vuole salutare i lettori, i colleghi e tutti quelli che amano “La Provincia di Varese”.
Sono il grafico di questo bel quotidiano ho preparato fino ad oggi le pagine dove poi i giornalisti hanno raccontato la cronaca di questi anni, la vita di questa laboriosa Provincia, ho disegnato e curato gli speciali, ho creato spazi pubblicitari che servivano a sostenere questo bel progetto di comunicazione, ma ora purtroppo quest’avventura si è conclusa.
Lavoro da ventidue anni e ho sempre fatto il grafico e undici anni fa sono arrivata qui poco dopo il primo compleanno di questo bimbo bellissimo con il quale poi anche io sono cresciuta professionalmente e umanamente. Immaginate quante persone fantastiche ho visto passare in redazione, quante storie di vita mi sono sentita raccontare nella speranza di arrivare a far sapere ai redattori che c’era bisogno del loro sostegno e come tutto questo mi ha fatto amare la vita e questo bel gruppo di lavoro, ho conosciuto artisti veri, personaggi illustri, professionisti passati a regalarci esperienza e tempo. Giorno dopo giorno questo quotidiano è diventato per me come parte della famiglia, e come succede per gli affetti più cari immaginare che non ci sia più, mi spezza il cuore e mi fa soffrire, mi sostiene e lenisce un po’ il dolore la consapevolezza di aver potuto fare per molto tempo un lavoro che mi piaceva tantissimo di aver passato momenti intensi e vivi, davvero un’esperienza completa un viaggio avventuroso dove io insieme a gente fantastica siamo stati “timonieri volontari” non siamo stati a guardare ci siamo dati da fare lavorato duro e seriamente, quindi non ci sono rimpianti o delusioni, siamo stati bravi e fatto con poco tantissimo.
Concludo con un grazie alla vita che mi ha regalato questi undici anni tosti ed intensi che mi ha donato amicizie significative, come Nonna Olga che è volata su qualche anno fa o il Signor Guido elegante e distinto abbonato che passava con la scusa del rinnovo a salutarmi ogni volta con tanto di caramelle. I “bimbi grafici” che ho formato in questi ultimi due anni con la passione di una mamma, e loro: “I Colleghi” quelli ancora qui con me e a quelli che sono andati per altre strade un po’ prima.
Felice e fiera d’esser stata parte di una realtà che così particolare e unica, l’altra voce, l’alternativa controcorrente non il “solito” giornale.