GENOVA – Pioveva, quella mattina del 14 agosto a Genova: una pioggia pesante e compatta. Il boato che alle 11.36 ha squarciato la città ha cancellato tutto: il cedimento del Ponte Morandi ha sommerso il rumore dei tuoni, i clacson delle auto incolonnate nel traffico di Ferragosto, le mille voci di una città.
Il ponte Morandi, inaugurato nel 1967, era lungo oltre un chilometro, con tre piloni di cemento armato a sostenerlo: il crollo della struttura ha provocato 43 morti, inghiottiti dal torrente Polcevera insieme a tonnellate di cemento armato, 11 feriti e 566 sfollati.
A cinquanta metri di distanza, dall’altra parte della ferrovia, le case popolari di Sampierdarena sono state miracolosamente risparmiate. Condomini di cinque piani dove abitano centinaia di persone, italiani e immigrati. Marco è uno di quelli che vive sotto il ponte. “Cosa ho sentito? Sembrava stesse crollando il mondo”.
Sul lato sinistro del Polcevera c’è il ‘Bic’, il Business Innovation Center, un agglomerato di piccole imprese che in realtà non è mai decollato. Quando il ponte ha ceduto, il cemento ha risparmiato per pochi metri una delle più importanti aziende italiane, l’Ansaldo energia, abbattendosi sui capannoni della ‘Fabbrica del Riciclo’ e del deposito dell’Amiu.
Sopra quei capannoni stavano passando Eugenio e Natasha. “Pioveva tantissimo, non si vedeva niente – ha raccontato la ragazza ai vigili del fuoco – ad un certo punto siamo scivolati giù. Non ho capito più nulla“. Glielo hanno spiegato i pompieri: l’auto si è cappottata ed è rimasta schiacciata sotto un pezzo di cemento. Sono vivi per miracolo. “Una macchina è rimasta appesa ai cavi d’acciaio – racconta all’Ansa Bruno Guida, altro vigile del fuoco che si è fermato solo alle 19 – Ci siamo calati dall’alto e abbiamo tirato fuori un uomo ancora vivo, non so neanche io come sia stato possibile”.