I segnali che arrivano in questi giorni che precedono l’appuntamento elettorale non sono per niente confortanti: si prevede un’altissima percentuale di astenuti a cui si andranno ad aggiungere molti tra coloro i quali oggi si dichiarano indecisi e manterranno l’indecisione fino all’ultimo, tanto da trasformarla in non voto.
A prescindere da quale sarà lo schieramento che uscirà vincitore da queste elezioni, la speranza dovrebbe essere quella di una vittoria netta, schiacciante di un partito o di una alleanza in modo da permettere una facile governabilità e una pronta risposta ai bisogni del Paese, non mettendo la classica toppa che può sembrare risolutrice al momento ma che poi riverserà sulle generazioni future più problemi di quelli che potrà risolvere al momento.
I problemi legati alla crisi energetica ed al relativo aumento dei costi per le famiglie e le aziende possono essere risolti immediatamente con sgravi fiscali, adeguamento dei prezzi al reale costo, disallineamento del prezzo del gas da quello dell’elettricità ma al tempo stesso vanno fatte scelte concrete che guardino al futuro, senza mezzi termini, e che non spostino il problema della dipendenza dalla fornitura di materie prime dalla Russia alla Cina, per fare un esempio.
Un governo forte dovrebbe poi affrontare con l’Europa, una volta per tutte, il problema del rapporto deficit/PIL, visto che credo sia oramai di dominio pubblico che una delle voci che concorrono a “gonfiare” le entrate tenendo in linea il deficit è quella relativa alle entrate del fisco, tra cui figurano crediti verso i cittadini per 954,7 miliardi di euro (dato a fine 2019), che lo Stato non è in grado di recuperare nella loro totalità. Infatti più di 300 miliardi sono riferiti ad aziende fallite o chiuse (153,1
miliardi), o a cittadini deceduti (118,9) o comunque irreperibili e 109 miliardi a nullatenenti. Solo 410 miliardi sono parte di azioni di recupero in corso ma mai finalizzate integralmente e sono oltre 17 milioni gli italiani che hanno un debito con lo stato: per la maggior parte di questi il debito è inferiore a 1.000 euro e il costo della riscossione potrebbe vanificare o quantomeno ridurre drasticamente l’effetto positivo dell’incasso.
Se si dovesse riconoscere ufficialmente che il credito si trasforma in un costo saremmo immediatamente uno Stato fallito, ed è qui che deve intervenire la politica, per non rimandare oltre ma per risolvere il problema nel modo più trasparente verso i cittadini (evitando di continuare ad imbrogliarli) e più efficiente possibile (recuperando quanto prima i crediti possibili e trovando il modo di assorbire i crediti inesigibili).
So che è difficile iniziare questa operazione di riassetto finanziario proprio adesso ma il problema va però affrontato: posticiparlo rischia solo di illuderci e di lasciare le prossime generazioni con le gambe per aria.
Federico P. Trussoni