VARESE – “Non c’è crescita, sociale ed economica, senza innovazione. È sicuramente questa la chiave di lettura giusta per interpretare gli scenari futuri a cui le imprese andranno incontro nei prossimi decenni” così esordisce Martina Giorgetti, presidente Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Varese, che continua: “Come Movimento sosteniamo le aziende nelle grandi transizioni che stanno interessando la manifattura: quella verso un’economia e sistemi di produzione più sostenibili e quella digitale”. Ma l’economia del territorio deve anche guardare ad una solida continuità aziendale laddove,
come registra l’Associazione Italiana delle Aziende Familiari, 1 azienda familiare varesina su 4 ha un leader ultrasettantenne e solo 1 su 6 ha una guida di età inferiore ai 50 anni, nonché l’economia del territorio urge di “imprenditori-salmoni” così come metaforizza il mid-cap investor Giovanna Voltolina. Innovazione e continuità sono dunque le due parole chiave emerse nel corso dell’ presentati nel corso dell’incontro-confronto dal titolo “Da bonsai a baobab” organizzato a Varese da Economy, il settimanale economico diretto da Sergio Luciano, nel quale una selezione delle aziende della provincia di Varese hanno dibattuto sui temi dello sviluppo e della transizione generazionale.
In materia di investimenti in innovazione gli ultimi dati del Centro Studi di Confindustria Varese: nel 2022 il 43% delle aziende del territorio ha realizzato almeno un investimento in digitalizzazione una soglia che, secondo le previsioni, verrà confermata anche quest’anno con una quota del 44%. In tema di sostenibilità ambientale, invece, nel 2022, il 37% delle aziende ha effettuato almeno un investimento. “Per il 2023 ci aspettiamo che a crescere siano soprattutto gli investimenti green nelle PMI – spiega Martina Giorgetti, Presidente Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Varese – Nelle realtà piccole si passerà da una quota del 23% del 2022 ad un 30% quest’anno. Per le medie il balzo in avanti sarà di tre punti percentuali: dal 56% al 59%”. Ma a leggere i dati dell’Osservatorio Aub, la forte esigenza della provincia di Varese – caratterizzata, un po’ come tutto il territorio italiano, da una marcata ricchezza di aziende familiari – è anche una visione lungimirante che assicuri una solida continuità aziendale, oltre la generazione del fondatore ed una governance che permetta la costante crescita dell’impresa anche oltre i confini del territorio. Le 3.561 le aziende familiari lombarde, delle quali parte importante è localizzata nella provincia di Varese, generano insieme un fatturato di 319 miliardi di euro ed impiegano 1,2 milioni di dipendenti (il 57,8% sul totale).
Il tema però – spiega Giovanna Gregori Consigliera delegata di Aidaf Associazione Italiana delle Aziende Familiari – è il dato anagrafico: più di 1 leader su 4 (26,7%) ha oltre 70 anni e il 27% ha un’età tra i 60 e 70 anni. Solo il 16,8% delle aziende familiari lombarde ha un leader con meno di 50 anni, dato che si è peraltro dimezzato nel corso degli ultimi 10 anni, passando dal 28,2 del 2010 al 16,8% del 2020. A riprova di questo progressivo ‘invecchiamento’ dell’Osservatorio emerge che solo 1 su 3 ha un consigliere d’amministrazione ‘under 40’, mentre 2 su 3 non ne hanno. Quest’ultimo dato é peggiorato” commenta Giovanna Gregori – passando dal 55% circa del 2010 al 73,4% del 2020. “Inoltre – dettaglia la Consigliera Delegata dell’Aidaf – altro numero oggetto di riflessione è quello della presenza delle donne alla guida delle imprese del territorio, la cui presenza nei CdA è ancora limitata: sono assenti in quasi il 50% delle Pmi lombarde, senza alcuna variazione significativa nell’ultimo decennio”.
Il territorio della provincia di Varese è decisamente interessante anche in termini potenziale di attrattività di private capital, fonte d’investimento che forse ancora guardato con troppo timore dagli imprenditori “Un po’ perché si ritengono soddisfatti delle dimensioni raggiunte – spiega Giovanna Voltolina mid cap investor – un po’ anche perché temono l’ingresso di un investitore internazionale che temano possa ‘scippargli’ il controllo, non comprendendo invece che un buon partner finanziario oltre che i capitali può apportare know how organizzativo, governance e capacità di competere con successo su mercati allargati”. “Quindi io penso che per essere attrattivi agli occhi di un investitore che non voglia soltanto parcheggiare in un’azienda il proprio capitale per poi raccoglierne (finché ce ne sono) i frutti a fine anno, – spiega Giovanna Voltolina – bensì a quelli di un mid-cap investor che intenda oltre che apportare denari, supportare l’azienda nella propria governance e organizzazione, anche verso i mercati internazionali allo scopo di una solida e marcata crescita, meglio essere un salmone, piuttosto che una trota di allevamento, che ingrassa (fintanto che può), seguendo i trend invece che innescarli, nel suo laghetto, ma pur sempre lì rimane”.