VIGGIU’ Un anno dopo la tragedia di Viggiù è vietato dimenticare. Perché non deve accadere più che un giorno di festa improvvisamente sia invaso dalla morte e dal sangue. Con la giovane vita di una quattordicenne, Alessia Apollonio, stroncata per sempre, e le ferite fisiche di 12 persone, giovanissimi della zona, che dopo essersi rimarginate hanno lasciato spazio a incubi, ricordi, dolore. Per una morte che forse si poteva evitare. A causare la tragedia, esattamente un anno fa, un’auto impazzita piombata su di loro mentre tornavano dalla festa di Sant’Antonio. Li ha falciati in pieno sul marciapiede di viale Varese, a Baraggia di Viggiù, poco prima delle 17.30 di quella maledetta domenica del 20 gennaio di un anno fa l’Opel Meriva guidata da Salvatore Arnone, operaio 52enne residente a Viggiù, uscito di strada dopo un malore.
Dodici mesi più tardi a parlare è Tiziana Apollonia, madre di Alessia, la ragazza che quel drammatico giorno perse la vita. «Perché la morte di nostra figlia non sia inutile – racconta – occorre che le istituzioni acquisiscano una maggiore consapevolezza e sensibilità nei confronti di tragedie come questa. Lo sbaglio sta tutto nella gestione delle patenti e degli incidenti stradali, fatta a compartimenti stagni: ogni ente gestisce soltanto una piccola sfera di competenza, cosa che di fatto rende impossibile avere una visione globale della situazione». La signora Apollonia lancia un monito e un appello alle istituzioni: «Se vogliamo che tragedie come questa non si ripetano, le autorità devono fermarsi e riflettere. Altrimenti la morte di Alessia sarà stata inutile».
Ma non c’è solo Alessia tra le vittime di quel giorno. Ci sono i feriti, alcuni di loro ancora costretti a fare i conti con i traumi fisici e psicologici di quel 20 gennaio. Tra loro Anacleto, oggi 17enne. Dopo lo schianto era in condizioni disperate. Oggi – dopo un mese e una settimana di coma farmacologico in neurorianimazione al Circolo di Varese e altre due settimane in medicina – il ragazzo sta combattendo ancora la sua personale battaglia contro i postumi di quel dramma.
È la madre Rosalia a raccontarci dei continui progressi del figlio. «Le condizioni non sono ancora delle migliori ma ogni giorno che passa – conferma – il mio Anacleto fa un passo in avanti. Non ha mai smesso: va ancora a Cuasso al Monte tre volte la settimana per la riabilitazione e quattro in piscina per il movimento. A breve inizieremo anche con lo psicologo per lavorare sulla parola». Già, perché se Anacleto è sopravvissuto, pesano ancora i segni dei venti minuti di arresto cardiocircolatorio cui è stato strappato. «Capisce tutto e ha ripreso a camminare – sottolinea la madre – ma la strada è ancora lunga. Noi, i medici e gli specialisti, stiamo insegnandogli tutto dall’inizio come fosse nato di nuovo. A parlare, a muoversi, a leggere e a scrivere. Questo ti fa pensare. Pensi all’Anacleto di una volta: in forma e in salute. Ora invece deve combattere per tornare quello di un tempo. Perché sono quelle interne le ferite difficili da guarire».
Alessio Pagani
Daniele Pizzi
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