VARESE – “Mi avevano proposto, quando mio figlio Andrea aveva 16 anni, di farlo giocare a Varese, con la mia squadra, però lo trovavo molto difficile dal punto di vista psicologico. Sarebbe stato bellissimo giocare con lui ma vivendo qui in Italia secondo me ci sarebbe stata una pressione psicologica terribile. Per lui, verso di lui e contro di lui. Per cui ho preferito non farlo, per lasciarlo più tranquillo e più libero. Altrimenti i paragoni, i fischi o gli insulti magari a lui avrebbero dato fastidio”.
Così a LaPresse Dino Meneghin, icona del basket azzurro, padre di Andrea oro agli Europei 1999, in merito alla possibilità per LeBron James di giocare con il figlio Bronny appena ingaggiato dai Los Angeles Lakers.
“La scelta di LeBron James con Bronny è bella. In America sono bravi, la vedo anche come una operazione commerciale. Sono felice per lui e per il figlio, speriamo che il ragazzo si comporti bene, che faccia vedere che sta lì non perché si chiama con il nome del padre ma perché è bravo assolutamente. Inevitabilmente nei suoi compagni di squadra e negli avversari lui viene visto come un protetto dal papà, un atto di nepotismo, lui gioca perché è il figlio del padrone in sostanza. Ecco, non vorrei che succedesse questo, spero per lui che possa giocare bene. Mi ha sorpreso anche come siano riusciti a risolvere questo problema cardiaco per fortuna per lui. Al di là di tutto credo sia una cosa molto di marketing”, ha spiegato l’ex cestista e dirigente sportivo italiano, un argento olimpico e un oro europeo, oltre a 12 scudetti e 7 coppe dei campioni, presidente della Federazione Italiana Pallacanestro dal 2008 al 2013.
Nel tornare sulla scelta di non giocare con il figlio Andrea ha aggiunto: “Per me sarebbe stato bellissimo, ci mancherebbe. Ho pensato però alle conseguenze insulti o dileggiamenti, giocando contro le altre squadre. Pertanto essendo un ragazzo di 16 anni ho pensato sarebbe stato troppo psicologicamente da affrontare per cui a malincuore ho dovuto rinunciare”, ha aggiunto. Scelta che si è rivelata giusta, come testimonia la carriera di Andrea, oro agli Europei 1999 e vincitore di un campionato sempre in quell’anno: “Sì, anche perché così ha dimostrato sul campo che non giocava perché era figlio mio ma perché era bravo lui”.
(Foto: Web Corriere)