ROMA – “Quale pericolosa relazione intercorre tra la piaga del precariato, che affligge, dati alla mano, da fin troppo tempo, i professionisti del nostro Servizio Sanitario Nazionale, con gli infermieri al primo posto per numero di contratti a tempo determinato, e l’aumento esponenziale della condizione di crescente insoddisfazione e stress che li affligge, fino al punto di minare nel profondo la già deficitaria qualità delle prestazioni offerte ai cittadini e la stessa stabilità del Sistema Salute?”. Se lo chiede Antonio De Palma, presidente nazionale del Nursing Up.
“Noi di Nursing Up abbiamo provato a chiedercelo, incrociando i dati di tre autorevoli indagini nazionali, rispettivamente quelle di Ragioneria dello Stato, Ministero della Salute ed Eurostat, ed osservando il fenomeno attraverso la lente del “Rapporto Presme”, importante dossier del Ministero della Salute spagnolo- spiega De Palma – Un lavoro accurato, a cui abbiamo lavorato nelle ultime settimane con i nostri esperti, costruito su report che già di per se, presi singolarmente, basterebbero a corroborare le nostre denunce, ma che, messi insieme, fanno emergere una realtà ancor più drammatica e preoccupante, che racconta più che mai che ci stiamo avvicinando ad un punto di non ritorno”.
Il rapporto del Ministero
“L’ultimo rapporto sulla totalità del personale sanitario del Ssn pubblicato dal Ministero della Salute ci restituisce una fotografia in cui, tra il 2013 e il 2021, il numero del personale a tempo determinato è praticamente raddoppiato: passando dalle 26.521 unità del 2013 alle 52.846 del 2021, ovvero il 99% in più”, continua De Palma.
Se il numero assoluto dei precari è in aumento, per quanto riguarda i medici, invece, gli assunti a tempo determinato tra i camici bianchi sono in calo: nel 2013 erano 7.210 contro i 6.458 del 2021, spiega la nota. Negli ultimi anni gli infermieri a tempo determinato sono però cresciuti addirittura del 154%, passando da 8.574 unità nel 2013 alle 21.809 del 2021.
I precari che aumentano
Nell’Europa della Sanità, circa un lavoratore su 8, ha un lavoro a tempo determinato, quindi precario. L’Italia si colloca al quinto posto di questa speciale classifica, ma registra la tendenza peggiore tra i 27 Paesi Ue nell’ultimo decennio.
C’è da aggiungere, però, che dalla rilevazione del conto annuale della Ragioneria generale dello Stato, prosegue la nota, tra tutti i comparti della pubblica amministrazione quello più ‘ricco’ di personale a tempo determinato (il 39,23% seguito al secondo posto da Regioni ed enti locali con il 31,25%) è proprio il nostro Servizio sanitario nazionale, a conferma che il problema è sicuramente molto più forte ed evidente tra i giovani professionisti sanitari, per i quali spesso, tra crisi economiche e blocchi del turn over, il ‘posto fisso’ nel Ssn resta davvero un sogno.
Il ministero del Lavoro spagnolo ha pubblicato un proprio studio, sponsorizzato dal Governo, sul lavoro precario associato al peggioramento della salute mentale, aggiunge la nota. Il ‘Rapporto PRESME’ mostra, soprattutto nel caso delle donne della sanità, e questo ovviamente impatta in modo dirompente sulla oggettiva situazione italiana prima delineata, un rischio più elevato di depressione nelle situazioni lavorative più precarie, soprattutto se associate a turni massacranti, con stipendi poco dignitosi, appunto come nel nostro caso.
Un futuro a tinte fosche
“Inevitabile non analizzare, con estrema lucidità, continua De Palma, come il Rapporto del Ministero della Salute spagnolo, che noi abbiamo utilizzato anche come autorevole riferimento per osservare la condizione degli ultimi 10-15 anni dei nostri professionisti dell’assistenza in Italia, e quindi il crescente precariato, i turni massacranti, gli stipendi non dignitosi e non rapportati all’aumento del costo della vita, le scarse prospettive sul futuro, l’escalation di aggressioni, aprano la strada al drammatico rischio di raggiungere, da noi, nel giro dei prossimi 6 anni, un punto di non ritorno”, dice ancora De Palma.
“Il risultato finale della nostra indagine è inequivocabile. Se le politiche nazionali e regionali non si attiveranno per arginare il fenomeno del precariato, avviando un capillare piano di assunzioni, associato a una indispensabile valorizzazione economica, avremo entro il 2030 un Sistema Sanitario in un vicolo cieco, con professionisti sanitari, in primis infermieri, infelici, potenzialmente depressi, e pronti a fuggire all’estero, o comunque non in grado di esprimere al meglio il proprio potenziale”, conclude De Palma.