Omicidio Macchi, stop al risarcimento per ingiusta detenzione a Stefano Binda

L'Avvocatura dello Stato ha impugnato la decisione della Cassazione bloccando l'indennizzo che gli era stato riconosciuto per essere stato messo in carcere da innocente per tre anni 6 mesi e 40 giorni. La difesa dell'uomo presenta a sua volta ricorso

VARESE – E’ infinita la vicenda giudiziaria di Stefano Binda, di Brebbia, arrestato nel 2016 con l’accusa di aver assassinato 30 anni l’ex compagna di liceo Lidia Macchi, e poi assolto definitivamente con la più ampia formula possibile (per non aver commesso il fatto), ma detenuto in carcere da innocente per tre anni 6 mesi e 40 giorni. L’Avvocatura dello Stato ha impugnato la decisione della Cassazione bloccando il risarcimento che gli era stato riconosciuto.


Dopo la piena assoluzione Binda ha chiesto di essere risarcito per l’ingiusta detenzione subita. Ottenendo un primo riconoscimento, pari a 303mila euro, dalla Corte d’Appello di Milano. Sentenza impugnata davanti alla Cassazione dalla Procura generale di Milano. Lo scorso 23 settembre la massima Corte ha riconosciuto a Binda un risarcimento pari a 212mila euro attribuendogli una “colpa lieve” nella sua condotta processuale. La Procura generale di Milano, nella sua impugnazione, aveva sempre sostenuto che “con i suoi silenzi” Binda avrebbe “contribuito all’errore sulla sua carcerazione” e che “la condotta mendace” negli interrogatori fu una “condotta fortemente equivoca”. E sosteneva, dunque, che non avesse diritto ad indennizzi.

Binda, in realtà, aveva subito parlato per quasi 8 ore davanti al Pm dichiarandosi innocente e fornendo anche un alibi (poi confermato in dibattimento): mentre Lidia Macchi veniva massacrata con 27 coltellate lui si trovava a Pragelato (Torino) insieme ad altri ragazzi in una vacanza organizzata da Comunione e liberazione. Con la recente sentenza della Cassazione la vicenda pareva conclusa.

L’Avvocatura dello Stato, però, ha impugnato la decisione della massima Corte, bloccando il risarcimento riconosciuto. Al momento non si sa se anche la Procura generale di Milano intenda impugnare il provvedimento della Cassazione. Certo è che gli avvocati difensori di Binda, Patrizia Esposito e Sergio Martelli, depositeranno a loro volta un ricorso contestando il punto relativo alla “lieve colpa” che per i difensori è totalmente inesistente.

(Fonte: Ansa)