L’accesso ai corsi universitari di Medicina e Chirurgia potrebbe subire un cambiamento radicale: la selezione degli studenti non avverrà più attraverso i test d’ingresso, ma dopo un semestre di studi. La proposta, contenuta nel disegno di legge delega approvato dalla 7° Commissione del Senato, prevede che, dopo sei mesi di corso libero, solo coloro che avranno accumulato un numero sufficiente di crediti formativi saranno ammessi, basandosi su una graduatoria nazionale.
Questo nuovo modello mira a garantire una selezione più equa, valutando le competenze effettivamente acquisite dagli studenti durante i primi mesi di studio. Tuttavia, la riforma ha già suscitato dubbi e preoccupazioni, sia per le sue implicazioni logistiche sia per la sua compatibilità con le normative europee che prevedono l’accesso alla professione medica tramite test selettivi.
Il professor Alberto Passi, presidente della Scuola di Medicina dell’Università dell’Insubria, ha espresso alcune perplessità riguardo alla proposta di riforma dell’accesso a Medicina. Secondo Passi, l’iter parlamentare è ancora agli inizi e già emergono posizioni contrastanti. Tra i dubbi principali, vi è appunto il rispetto delle normative dell’Unione Europea, che richiedono un test d’ingresso per l’accesso alla professione medica. Inoltre, Passi sottolinea l’importanza di garantire un’uguaglianza di giudizio negli esami in tutti gli atenei per mantenere una graduatoria nazionale equa.
Il professore ritiene difficile che la riforma possa essere applicata già dal prossimo anno accademico, date le tempistiche parlamentari. Come alternativa, la Conferenza dei Presidenti di Medicina aveva proposto un percorso orientativo già nell’ultimo biennio delle scuole superiori, per fornire agli studenti gli strumenti necessari a comprendere meglio il percorso professionale. Passi difende l’attuale sistema di test d’ingresso, evidenziando che questo garantisce equità e trasparenza, poiché due mesi prima delle prove viene pubblicata la banca dati delle domande, dando a tutti la possibilità di prepararsi adeguatamente.
Infine, Le università dovranno affrontare sfide organizzative significative per accogliere l’aumento del numero di studenti nel primo semestre, soprattutto in atenei di grandi dimensioni come La Sapienza di Roma o l’Università di Milano. La disponibilità di spazi per le lezioni è un nodo cruciale, poiché sarà necessario garantire che tutti gli aspiranti medici abbiano accesso a strutture adeguate.
Anche su questo punto, Passi solleva preoccupazioni logistiche, affermando che molte università non dispongono di spazi sufficienti per accogliere tutte le potenziali matricole durante il primo semestre. Mentre l’Università dell’Insubria potrebbe affrontare la situazione grazie al numero relativamente ridotto di candidati.
Al di là delle questioni logistiche, il dibattito sulla reale efficacia della riforma è ancora aperto. Molti esperti ritengono, così come il professore, che l’abolizione del numero chiuso non risolverà il problema della carenza di medici, ma rischia invece di generare una sovrapproduzione di laureati senza reali opportunità di lavoro. Questa proposta di cambiamento sembra nascere più come risposta agli errori di programmazione del passato che come una soluzione concreta alle esigenze future del sistema sanitario. La discussione è ancora in corso e richiederà ulteriori riflessioni prima di trovare una sintesi che possa conciliare l’esigenza di equità con quella di una formazione di qualità.