Tutto era iniziato come una semplice lite adolescenziale, quelle che avvengono quotidianamente in una famiglia. La quindicenne, arrabbiata, esce di casa sbattendo la porta. Sono circa le 21 e lei, originaria di Gallarate, si trova a Pré-Saint-Didier, un tranquillo paesino di montagna nella Valle d’Aosta, noto per la sua calma e assenza di criminalità, lontano anni luce dalle pagine di cronaca nera. Piove a dirotto. La ragazza, ancora furiosa, raggiunge la chiesa del paese e, dopo pochi minuti, decide di tornare verso casa.
Lungo la strada, viene notata da due ragazzi su un balcone, incuriositi dal suo aspetto bagnato. Le offrono un asciugamano e la salutano, ma lei inizialmente rifiuta e continua a camminare sotto la pioggia. Solo dopo, rendendosi conto di essere completamente fradicia, ci ripensa. Uno dei due, un trentenne italiano, scende con una torcia per accompagnarla su. In casa, però, ad aspettarli c’è l’amico marocchino, e in quel momento la quindicenne capisce di essere finita in una trappola.
Quella sera diventerà un incubo che racconterà poche ore dopo ai carabinieri. Il marocchino viene arrestato il giorno seguente con l’accusa di violenza sessuale. Il processo è imminente.
Un agosto da dimenticare
L’aggressione, come raccontano i colleghi della Prealpina, è avvenuta il 17 agosto, e da allora la giovane vittima, profondamente traumatizzata, sta seguendo un percorso terapeutico per affrontare il dolore e lo shock. Ieri mattina, sotto la tutela dell’avvocato Lara Paladino, la ragazza è stata ascoltata in incidente probatorio dal giudice Davide Paladino presso il tribunale di Aosta. L’indagato era presente, costringendo la quindicenne a rivivere quei momenti terribili, ma lei ha raccontato i fatti con chiarezza e coerenza.
Quella sera, dopo essere entrata nell’appartamento, era rimasta sola con il trentenne marocchino. Nonostante le sue suppliche, lui l’aveva subito aggredita, afferrandola con violenza, trascinandola sul letto e toccandola ovunque, mentre si spogliava. In quei minuti di terrore, l’italiano era rientrato con una coppia, ma la ragazza non è in grado di dire se i tre si fossero resi conto di cosa stesse succedendo. Presa dalla paura, la giovane si rifugiò in bagno, ma venne raggiunta dall’aggressore. Dopo una disperata lotta, riuscì finalmente a liberarsi e scappare, tornando dai genitori. La sorella maggiore, alla quale aveva subito raccontato l’accaduto, l’aveva incoraggiata a parlare con i genitori, e insieme si erano recati al comando dei carabinieri di Morgex quella stessa notte. Ora, l’aggressore è detenuto nella casa circondariale di Brissogne, dove si trova da oltre due mesi.
Una mentalità predatoria: il profilo inquietante dell’indagato
Le indagini hanno rivelato un ritratto allarmante del trentenne accusato, delineato grazie alle testimonianze di amici e conoscenti, inclusi coloro che erano presenti la sera dell’aggressione. Coordinati dal pubblico ministero Manlio D’Ambrosi, gli investigatori hanno scoperto che l’uomo trattava le sue conquiste sessuali come trofei di caccia, vantandosene con arroganza e volgarità. Frasi come «oggi me ne sono fatte due» venivano pronunciate con disprezzo, quasi come a sfoggiare una collezione di successi personali, mostrando una totale mancanza di rispetto verso le donne.
Questa mentalità, insieme alle sue dichiarazioni sprezzanti, ha contribuito a far emergere il quadro di un individuo pericoloso e senza scrupoli, incapace di contenere i propri impulsi. Il 21 agosto, il giudice per le indagini preliminari Luca Fadda ha emesso una misura cautelare, confermando la gravità della situazione. Durante l’interrogatorio, l’indagato si è avvalso della facoltà di non rispondere, ma i dettagli raccolti hanno convinto il giudice della necessità di tenere l’uomo in custodia.
A complicare ulteriormente il quadro, sono emersi dettagli sul consumo abituale di stupefacenti da parte del trentenne, che ne avrebbe compromesso la capacità di controllo e lo avrebbe reso particolarmente incline a comportamenti violenti. Questa condizione non solo accresce il rischio che possa reiterare simili atti, ma lo rende anche imprevedibile e pericoloso per la comunità, in particolare nei confronti delle donne.
L’avvocato difensore, Liala Todde, sta valutando quale strategia processuale adottare per limitare la pena. Tuttavia, le prove e le testimonianze finora raccolte rendono evidente il profondo disprezzo che l’uomo nutriva nei confronti delle sue vittime, alimentando la preoccupazione che possa continuare a rappresentare un rischio se lasciato libero.