“Tutti gli elementi raccolti hanno confluito verso l’unica certezza” che Giampaolo Amato “provocò deliberatamente la morte” prima della suocera 87enne Giulia Tateo, poi della moglie 62enne Isabella Linsalata, “somministrando loro un mix letale di Midazolam e Sevoflurano”.
Lo scrivono i giudici della Corte d’Assise di Bologna nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 16 ottobre, hanno condannato all’ergastolo l’oculista 65enne, ex medico della Virtus. Nelle motivazioni- in cui respingono l’ipotesi che Isabella Linsalata sia “morta nel sonno per cause naturali” o si si “auto-somministrata il Midazolam e il Sevoflurano… a scopi suicidari, né tantomeno voluttuari”, e la tesi secondo cui la stessa Linsalata avrebbe somministrato gli stessi farmaci alla madre- i giudici scrivono che le morti delle due donne,
avvenute il 9 e il 31 ottobre 2021, sono inscindibilmente collegate, affermando che Amato le uccise per “liberarsi, una volta per tutte, del ‘peso’ che gli causavano tali legami familiari ormai ingombranti e vissuti come catene”. In particolare, la Corte scrive che l’imputato aveva la necessità di “liberarsi del ‘peso’ che il matrimonio con Isabella gli comportava, privandolo della possibilità di vivere la relazione extraconiugale” che portava avanti ormai da tempo.
Quanto, invece, alla contestazione di peculato, i giudici spiegano di aver assolto Amato dall’accusa di essersi procurato i farmaci utilizzati per commettere gli omicidi sottraendoli ad una delle strutture pubbliche in cui lavorava perché gli elementi raccolti “non permettono di escludere che abbia potuto recuperare il mix mortale di farmaci in una delle strutture private in cui prestava la sua opera di chirurgo”, aggiungendo che “non può essere escluso nemmeno che si sa procurato i farmaci in questione ricorrendo ad altre vie quali il procacciamento da terze persone compiacenti o il cosiddetto ‘dark web’ o ‘deep web'”.