VARESE Dal Varesotto all’India il passo è breve. Soprattutto per un’impresa finita nella morsa della crisi più nera. Così la Record, azienda di automazione e meccanica con sede a Laveno nata 61 anni fa, oggi sta preparando le valigie. «Non abbiamo più alternative – spiega Marco Lonati, 36 anni, amministratore unico – non prendo una commessa grossa da settembre dell’anno scorso. Qui stiamo facendo ricambistica e manutenzione, lavoretti che sarebbe meglio evitare perché si va in perdita,
ma è l’unico modo per dare qualcosa da fare ai dipendenti e limitare il più possibile la cassa integrazione».
E pensare che nel 1948, quando è nata, la Record è stata la prima in Europa a produrre macchine maschiatrici. Ma prima di tutto ha dato lavoro a generazioni di varesini: nei decenni scorsi è arrivata a impiegare fino a sessanta persone. Puntando sulla tecnologia più che sui numeri, è cresciuta fino a diventare un fiore all’occhiello per la provincia: alcuni dei suoi macchinari sono stati riconosciuti come i più avanzati al mondo e sono diventati meta di pellegrinaggio per gli imprenditori e tecnici d’oltre oceano.
Poi le prime avvisaglie del declino, negli anni ‘80. Colpa della corsa ai paesi emergenti delle case automobilistiche che sempre più spesso acquistano le componenti in Polonia, Cina o India, oppure in Turchia, Tunisia ed Egitto. I fornitori di componentistica del posto però non vengono certo a ingrassare le tasche di noi italiani: preferiscono costruirsi la linea di produzione in casa propria cercando analoghi ma più economici macchinari. E tanto più avanza la crisi, tanto meno i pochi rimasti ad acquistare in Italia investono sulla produzione. Così le 15 commesse medie annuali nel 2009 sono diventate 8.
Fino a poche settimane fa l’azienda ha retto, sia pur a fatica. L’ultimo ordine era arrivato a settembre 2008 e il tempo di realizzazione era di un anno, ecco perché dal mese scorso, senza più lavoro, sarebbe stato impossibile andare avanti senza cassa integrazione. «L’avevamo già chiesta a marzo ma siamo riusciti a evitarla – racconta l’imprenditore – ad agosto però abbiamo esaurito tutte le ferie arretrate e non c’era altro da fare». Per quattro mesi lavorerà la metà dei dipendenti alternativamente ogni due settimane con lo stipendio all’80%. Per fortuna dell’azienda e dei colleghi, grazie ai pensionamenti gli operai sono passati da 15 dello scorso gennaio agli attuali 13, ma arriveranno a 12 in dicembre. Proprio il mese in cui l’amministratore apporrà la firma per dare il via alla produzione in India: inizialmente farà solo le componenti dei macchinari e solo per il mercato asiatico; se poi la qualità sarà soddisfacente, arriverà fino al prodotto finito. «In India il pil è del 7% annuo nonostante la crisi, ci sono un miliardo e 300 milioni di persone e una su 100 ha la macchina; si prevede che in tre anni passeranno a 3 o 4 su 100. Produrre a Varese e vendere là è impossibile per i costi, mentre potremmo stare in piedi tenendo qui la progettazione ma andando in Asia a costruire».
E a Varese? «Non so cosa succederà. Dipende moltissimo da come andranno le cose: cerchiamo di andare avanti il più possibile con gli ammortizzatori sociali sperando che arrivi qualche commessa». Marco ne sta aspettando due a dire il vero. «Sono abbastanza grosse e ci darebbero lavoro per circa otto mesi. Il fatto è che servono tre mesi di progettazione prima di iniziare la produzione, periodo in cui gli operai sarebbero comunque fermi, ma soprattutto sono commesse che sto aspettando da marzo: le aziende non hanno liquidità per pagarle».
Francesca Manfredi
e.marletta
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