Vertice Ue sul clima: i due nodi da sciogliere per la presidenza


Bruxelles, 30 ott. (Apcom)
– Il Consiglio europeo che si conclude oggi a Bruxelles, nonostante gli sforzi della presidenza di turno svedese, difficilmente riuscirà a sciogliere i due nodi che impediscono l’accordo dei leader dei Ventisette sul Clima: la definizione delle cifre dell’aiuto pubblico dei paesi ricchi da destinare ai paesi in via di sviluppo, col doppio obiettivo di finanziare la loro riduzione delle emissioni di gas serra (‘Mitigation’) e l’adattamento alle conseguenze del cambiamento climatico (‘Adaptation’); e il problema delle rivendicazioni degli Stati membri dell’Est, che temono di dover pagare quote troppo alte di questi aiuti e chiedono di poter continuare anche dopo il 2012 a usare i propri ‘crediti di emissioni’, accumulati durante la deindustrializzazzione post comunista nei primi anni ’90.

Per quanto riguarda il primo punto, il problema non riguarda tanto le cifre, che dovrebbero essere comunque all’interno delle ‘forchette’ stimate dalla Commissione europea, quanto piuttosto la ‘ripartizione degli oneri’ (‘Burden sharing’) all’interno dell’Unione, ovvero la quota del finanziamento totale a carico dell’Ue con cui dovrà contribuire ciascuno Stato membro.

La ‘chiave di ripartizione’ da cui dipenderanno queste quote nazionali potrà essere basata su due fattori: le emissioni dello Stato membro e la sua riccheza (calcolata in base al Pil). I Ventisette dovranno decidere se scegliere l’uno o l’altro dei due fattori, o se prenderli in conto entrambi, determinando anche il peso relativo da dare a ciascuno dei due.
I paesi dell’Est, poveri ma con un alto livello di emissioni a causa della loro inefficienza energetica e dipendenza dal carbone, vorrebbero che fosse privilegiato il fattore ricchezza;
gli Stati membri più ricchi, invece, puntano sull’assegnazione di un’importanza maggiore al fattore emissioni.

Secondo le valutazioni della Commissione europea, i finanziamenti dei paesi ricchi per i paesi in via di sviluppo dovrebbero raggiungere complessivamente circa 100 miliardi di euro al 2020, con contributi annuali crescenti a partire dal 2013. L’Esecutivo europeo stima che una parte cospicua di questi finanziamenti, fra i 22 e i 50 miliardi di euro all’anno, dovrebbe venire da fondi pubblici, e che l’Ue dovrebbe fornire fra il 10 e il 30 per cento di questa cifra, ovvero fra i 2 e 15 miliardi di euro circa all’anno (il commissario all’Ambiente, Stavros Dimas, punta a 15 miliardi di euro). L’ampiezza delle forchette, va sottolineato, dipende dall’incertezza sulla chiave di ripartizione che verrà scelta e sull’andamento dei prezzi sul mercato dei diritti di emissione di CO2.

La Commissione propone anche un ‘fast track’ di finanziamenti per i paesi in via di sviluppo da stanziare subito dopo l’eventuale accordo di Copenaghen e prima della sua entrata in vigore, nei tre anni fra il 2010 e il 2012. Secondo l’Esecutivo comunitario, dovrebbe trattarsi complessivamente di 5-7 miliardi di euro all’anno, di cui l’Ue dovrebbe assicurare fra il 10 e il 30 per cento (fra 0,5 e 2,1 miliardi di euro all’anno; Dimas punta a 1,5 miliardi).

La presidenza di turno svedese vorrebbe iscrivere queste cifre nelle conclusioni del Consiglio europeo, ma alcuni Stati membri, e in particolare la Germania, si oppongono, perché pensano che prima di mettere le carte sul tavolo l’Ue dovrebbe chiedere di farlo anche agli altri partner internazionali. “Bisognerebbe che gli Stati Uniti e la Cina dicessero che cosa sono pronti a fare”, ha detto nel pomeriggio il cancelliere tedesco Angela Merkel.

L’Italia è sulla stessa linea, e chiederà, con il ministro degli Esteri Franco Frattini, che si evitino “ulteriori impegni unilaterali” da parte dell’Ue. Non è ancora chiara, invece, la posizione del presidente francese Nicolas Sarkozy.

Loc

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